Hallowed Sword - Aelann

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    === HALLOWED SWORD: AELANN - INIZIO ===

    [Narratore]



    E' pomeriggio inoltrato quando l'appuntamento riservatovi da von Wolff vi permette di incontrare Raskolnikov. Professore, Governatore, entrambi sono titoli che gli si addicono in queste circostanze. Lo andate a cercare per essere illuminati sulle più recondite teorie magiche e, forse, per provare a far luce su materie di Fede.
    Le due cose hanno sempre trovato una certa sovrapposizione su Erden.

    Avete tempo di riflettere su cosa chiedere al misterioso capo del governo di New Eyre mentre ne attraversate il distretto governativo.
    Del viaggio vi rimane impressa la ricchezza degli edifici che vi circondano, ostentata negli abiti e accessori di chi li occupa, ma apparendo allo stesso modo funzionale. Nonostante gli omicidi nelle strade e la mal proporzionata distribuzione di ricchezze, la classe dirigente di Cassiopea non appare sperperare i vantaggi economici della propria posizione.
    Vestono il meglio, poiché un politico non può rappresentare gli interessi dei suoi elettori vestito di straccio.
    O almeno questa è la facciata.
    Sta a voi crederci o meno.
    Ciò che davvero vi importa è essere condotti nell'ufficio del Governatore.

    Il professore si è ben sistemato da un anno a questa parte, con la permanente sede del governo stabilita, ha potuto arredare finalmente il proprio ufficio come voleva. Lo stile moderno e utilitario delle sue periferiche elettroniche cozza con il pregiato legno locale che compone le alte librerie poggiate ai muri. Lo stesso vale per i numerosi vasi in ceramica dipinta che ospitano piante provenienti, pare, dall'intera Federazione.
    Le sedie foderate che ha davanti alla scrivania sono comode. Parecchio comode. Non quanto lo scranno di velluto rosso, per il momento vuoto, che attualmente vi osserva. Libero.
    Il professor Raskolnikov è impegnato altrimenti, vi ha accolto, vi ha fatti accomodare e ora sta versando del té caldo nelle due tazze davanti a voi. A giudicare dal profumo pungente deve essere qualcosa di locale, un misto di erbe essiccate artigianalmente.
    Non vi è stato chiesto se ne gradivate una tazza.
    E' tanto una cortesia quanto un rituale.

    RASKOLNIKOV: «Il nostro caro amico von Wolff mi ha anticipato che siete venuti in cerca di risposte a domande... peculiari.»

    Si avvicina alla propria sedia, sfiorando il dorso di un tomo stampato dall'aria particolarmente antica. Lo sfila dal suo alloggiamento e lo prende con se prima di accomodarsi.
    Il titolo, famoso per chiunque abbia studiato l'ambito arcano, è "магия", di Yevgeniy Rasputin. Uno dei più grandi trattati sulla Magia, sebbene spesso criticato per le sue ampie tangenti nell'esoterismo privo di fonti.

    RASKOLNIKOV: «Prego, mettetemi al corrente.»

    Le vostre due tazze di cristallo hanno già assunto una colorazione diversa.

    [Eskil 'Starchild']


    Ah, il professore.
    Non ero mai venuto a trovarlo nella sua nuova locazione, ma non ce n'era mai stato bisogno. Raskolnikov mi aveva insegnato cose fondamentali per la comprensione più basica di ciò che accadeva nel sistema e, senza di lui, le mie curiosità avrebbero presto raggiunto un muro.
    Ero ancora qui, stavolta con Ibis al mio fianco, seduto davanti alle sue tazzine di té inspiegabilmente cangianti. Presi un sorso.

    «Vengo subito al dunque, professore.»

    Gli dissi, sorridendo appena. Come al solito, non ero una persona che apprezzava convenevoli inutili.

    «Una persona fatta di magia innaturale, che va oltre le fondamenta della Realtà. Senza alcun equilibrio, artificiale, che non dovrebbe esistere e permeare eppure lo fa. Ricordo di vecchissime teorie riguardanti unire corpo ed elementi, corpo e magia, ma non è mai stato davvero il mio campo. Tutto ciò che ho imparato della magia mi direbbe che tanto era impossibile.»

    Mi grattai la guancia.

    «Eppure non lo è. Esiste qualcuno in grado di creare con successo questa entità, professore? Qui, su Cassiopea?»

    Presi un altro sorso e mi poggiai sullo schienale della sedia. Chissà, magari la risposta l'avrebbe trovata nel libro che aveva davanti. Penso di averne letto un po', su Elsàss, anni orsono.

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Vedersi scorrere davanti agli occhi il distretto governativo e poter allo stesso tempo apprezzare i dettagli di persone ed edifici è un'esperienza rara per lei: se passa di lì, di solito, lo fa a qualche migliaio di metri dal suolo e qualche centinaia di km/h sopra al consigliato per gli scopi turistici.
    La recente sortita nei quartieri residenziali, poi, ha modo di sottolineare ulteriormente il contrasto tra contesti distanti solo manciate di chilometri.

    (...)

    Detto questo, forse 'impressa' è una parola eccessiva, per quanto la riguarda; la sua attenzione è stata divisa, praticamente per l'intero tragitto, tra il lussuoso panorama all'esterno e la sottile nebbia della memoria all'interno.
    Si era ripromessa di compilare un memorandum di qualche sorta prima di presentarsi dal 'buon vecchio' professore, in fondo, e a quello ha dato la priorità.

    (Se anche non dovesse essere d'aiuto col caso specifico), pensa, varcando la soglia dello studio, (almeno aiuterà a preservare il ricordo degli eventi.)

    Rispetto all'ultima visita, la stanza ha fatto un notevolissimo salto di qualità, tra discrete elettroniche da un alto e vasellame variopinto dall'altro, variamente vitalizzato da verdeggiante flora locale ed esotica.

    « Oh, guarda- »
    fa lei, dando delicatamente di gomito all'ex-collega e accennando col capo al pièce de resistance dell'ensemble - i cristalli cangianti.
    « -ci sono ancora! »

    La cosa, per qualche curioso motivo, la rende felice. Altrettanto gradita è l'offerta di tè.

    Apre la bocca per ringraziare di averli ricevuti, della cortesia, e--
    --ed Eskil entra in scivolata, segando brutalmente le gambe alla creanza.

    « Um... »
    mormora, un filo a disagio.
    « Mi permetta di offrire un po' di contesto... ecco. »

    Apre la valigetta, la stessa che si era portata dietro per visitare Eskil, ed estrae una copia cartacea del rapporto stilato per la Flotta.

    « A pagina uno trova il sunto degli eventi. A pagina tre, ciò cui si riferisce Eskil. »
    aggiunge, dopo qualche secondo.

    Nel ripercorrere a mente il suo scritto, si ricorda di un paio di elementi annotati nel resto del rapporto.

    (Hm... chissà se sa qualcosa di quelle scritte... o di quella frase...)
    pondera lei, accarezzandosi la guancia.
    (Glielo chiederò dopo. Una mole di misteri alla volta.)

    [Narratore]


    RASKOLNIKOV: «Unire corpo ed elementi... No, non è affatto impossibile, per quanto la tua sia spiegazione molto sbrigativa. E' un'arte confinata ad epoche infelici, dove la vera padronanza della Magia era tradizione ed eredità di pochi. »

    Il professore accetta con calma il rapporto e lo posa sulle pagine ingiallite del tomo. Comincia a leggerlo, azione che non lo ferma dal continuare la sua spiegazione, dimostrazione di grande abilità nel multitasking. O di scarso interesse per il testo.

    RASKOLNIKOV: «Una delle caratteristiche fondamentali della Magia è la sua capacità di descrivere il mondo reale e, di conseguenza, da esso venire influenzata. Uno sforzo per evocare una fiamma dove non vi è combustibile provoca effetti differenti se si tenta la stessa impresa in un incendio o ai poli. Altrettanto, tale patrimonio genetico rende affini individui e creature a produrre particolari Manifestazioni.»

    RASKOLNIKOV: «Se si desidera rendere più facile manifestare una fiamma, si può produrre un incendio. Al che, un mago intraprendente potrebbe chiedersi ---cosa succede se divento io l'incendio?»

    RASKOLNIKOV: «Si chiamano Rune, miei cari giovani, e sono la massima espressione della conoscenza magica raggiunta nell'Era delle Baionette. Dove è per molti rimasta. Il processo consiste nell'alterare una parte fisica del proprio corpo attraverso un tale rituale da forzare la Magia in uno stato alterato. La differenza tra una Runa ed un Incantesimo risiede nella sua natura: un Incantesimo è una Manifestazione ciclica, che si nutre e rigenera da sola. Una Runa, invece, è una radicale alterazione dovuta ad un mutamento fisico e concettuale di un essere umano.»

    RASKOLNIKOV: «Presumo sia ciò che vi abbia turbati, ma non mi aspetto molto da un rituale che, tradizionalmente, viene in parte eseguito attraverso incisioni su organi ed ossa.»


    Interrompe il suo monologo e batte due volte il dito guantato su una particolare frase del rapporto. Un mugugnio interessato sfugge alla sua gola e viene rapito dalla lettura. Per qualche secondo la sua testa si muove, leggermente ma con zelo, da un angolo all'altro dei fogli.

    RASKOLNIKOV: «Le rune sono... magia terribile. Per ridurre il rischio innato nell'incidere il proprio Io, i rituali sono sempre stati legati al sangue della famiglia magica. Nei tempi moderni sono conoscenze esoteriche, alcune famiglie antiche ne mantengono l'uso, ma è più facile ricorrere ad incantesimi che ne imitino gli effetti. Non vorrei essere cinico, ma il numero di cavie che serve per svilupparne una replicabile è considerevole.»

    RASKOLNIKOV: «Presumo il Lord Alambert ne possegga un paio, mentre nei von der Rhein dovrebbe essero cadute in disuso qualche secolo fa. Nulla che volontariamente condividerebbero. O che possa anche solo funzionare.»


    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Durante il lungo monologo sulla magia, ha ampio modo di apprezzare quanto lei e l'argomento fatichino ad andare d'accordo.
    Non è solo una questione storica, un'istintiva ripicca contro tutte le volte in cui l'intromissione di quell'elemento nella fascia delle sue competenze sia stata foriera di disastri di varia entità - alcuni letali - ma, a tutti gli effetti, una fatica ad afferrare i concetti espressi.

    A lei non piace la magia, evidentemente.
    (Peccato che alla magia piace un sacco me, visto che me la trovo sempre tra i piedi. Psh.)

    Si passa le dita tra i capelli, agitando una ciocca di capelli fucsia ai lati dell'orecchio, con un'espressione tra il pensieroso e il riflessivo sul viso. Cerca di mettere in ordine le idee.

    « Quindi, se ho capito bene... l'Incantesimo si autoalimenta, come una sfera Dyson attorno ad una stella, e così continua a funzionare... mentre la Runa si alimenta con la persona che è stata incis-- »
    --soggiunge il lume della comprensione; con esso, il palese raccapriccio. sbarra gli occhi.
    « --ah. »

    Il resto della spiegazione, sull'incidere l'Io e il necessitare sangue magico e così via, le sfugge nelle implicazioni pratiche e teoriche.
    Ciò che afferra, invece, è quel cavie.

    « Quindi, non solo è una pratica arretrata e barbara, ma è anche omicida... ho capito bene, professore? »

    « E... il suo scopo sarebbe fare sì che qualunque magia sia stata... incisa-- »

    continua, con una smorfia di non celato orrore,
    « --abbia come sorgente quella persona, così da essere sempre a pieno potere... giusto? »

    [Eskil 'Starchild']


    La spiegazione di Raskolnikov sicuramente metteva in meglio in chiaro le brutte sensazioni che essere in presenza di Minerva mi aveva lasciato.
    Mi piegai un po' di più dentro lo schienale della sedie, braccia consorte e volto corrucciato.

    «Nonostante questi individi siano quindi rari soggetti di una pratica in disuso, non riusciamo a risalire a chi imbriglia il potere di questa Minerva come un'arma?»
    Chiesi, assottigliando lo sguardo. Sicuramente al professore non faceva piacere sapere che un simile individuo lavorava per un privato sul suolo di New Eyre, a maggior ragione se era in giro a commettere omicidi ed inscenare rapimenti.

    Sospirai e guardai entrambi, soffermandomi un po' di più su Ibis e la sua storia. Le avevo detto che le sarei stato affianco, ma avrei anche cercato di venir a capo di tutti questi misteri. Compreso il suo, se potevo.

    «Una tradizione legata al sangue di specifiche famiglie, comprendo bene che significa che una determinata linea sanguigna è in grado di funzionare con la specifica runa, no?»
    Torno a guardare Raskolnikov, sporgendomi un attimo in avanti per indicare il rapporto che ancora giaceva davanti all'uomo.
    «Come ha scritto Ibis nel rapporto, questa ragazza si è definita un miracolo della fede. Ed il suo nome è Minerva.»

    Sospirai profondamente e di nuovo sprofondai nello schienale della sedia a cosce aperte.

    «Joachim mi ha fatto notare la coincidenza. Ma io non credo alle coincidenze, specialmente perché nominare una specifica dinastia di sangue mi fa pensare che altrimenti ce ne sarebbero davvero troppe, di coincidenze.»
    Sposto di nuovo lo sguardo su Ibis.
    [Non sono il solo ad averlo pensato, vero?»

    Dovevo proprio dirlo? Che magari la runa proveniente da Ere passate e che era stata incisa su Minerva proveniva da un nome molto famoso e molto venerato?

    [Narratore]


    RASKOLNIKOV: «No, errato, la runa non necessita di alimentazione. E' un cambiamento talmente radicale nel concetto stesso dell'esistenza da diventare il nuovo status quo magico. Un nuovo equilibrio. Non la definirei però arretrata, solo difficile da sviluppare ex novo visto il rischio per qualsiasi soggetto vi si sottoponga. L'utilità è chiara per chiunque si intenda di Magia.»

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    « Ah... »
    (Insomma, non ho capito nulla. Ottimo.)


    Si avvicina la tazza al viso e prende qualche sorso di tè, in un goffo tentativo di mascherare l'imbarazzo.

    [Narratore]


    Ridacchia. E' un verso parzialmente soffocato dalla maschera, ma giunge comunque alle vostre orecchie. Nonostante si parli di cose dal potenziale tetro, il suo umore si mantiene gioviale. Vi sta parlando della sua materia, è un argomento che, evidentemente, lo appassiona. E' un professore, dopotutto.

    RASKOLNIKOV: «Da un punto di vista teorico la compatibilità con una runa è illimitata, sono i rituali che per ragioni pratiche e culturali sono stati sempre stilati con una linea di sangue in mente. Uno di voi due potrebbe sopravvivere all'incisione dell'apparato runico destinato ad un Lord Alambert e farne uso, così come no.»

    RASKOLNIKOV: «A giudicare dalla libertà con la quale la vostra... ah, Minerva agisce, forse chi la impugna non si preoccuperebbe del prezzo da pagare per la ricerca. Avere un campione del suo sangue potrebbe essere utile per divinarne la la natura. E' figlia degli Alambert? Dei maledetti Friedswald? O forse discende addirittura dal Paladino in persona.»


    Scuote la testa. L'ultima frase si portava dietro un poco di ironia.

    RASKOLNIKOV: «La Fede è un argomento affascinante. Curiosa anche la scelta del nome... un pugnale, avete detto. E un peculiare movimento istantaneo. Ahh, il mistero si infittisce. Ci sono varie teorie che potremmo seguire, ma starei solo speculando.»

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Solleva la manina.

    « Um. Perdoni l'interruzione, professore, ma prima che si addentri in altre teorie... chi sono questi Frieswald? »
    domanda lei, per poi inspirare e rassegnarsi all'essere guardata come la somara del gruppo.
    « E... quando parla di magia, potrei gentilmente chiederle di essere molto esplicito su quello che, um, fanno le cose? Come se parlasse a qualcuno che non sa praticamente niente dell'argomento, ecco. »
    (Cioè a me.)


    Tira giù la manina, e si aggiusta sulla poltroncina.
    Nonostante la pregevolissima imbottitura, negli ultimi trenta secondi si è fatta parecchio scomoda.
    Se non altro, il colorito del suo viso si accompagna bene a quello dello schienale.

    [Narratore]


    RASKOLNIKOV: «I Friedswald sono storia passata, dispersi, disciolti e sterminati durante l'Era delle Baionette per adempiere ad alleanze e giuramenti cui erano legati. Nulla che vi interessi davvero, solo le farneticazioni di un vecchio professore... professore che troverebbe difficoltà nel semplificare ulteriormente la propria materia.»

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Ecco, se ora potesse sprofondare, sarebbe perfetto.
    Ma no, sarebbe troppo facile uscirsene così.

    « Ha detto che potrebbe essere loro 'figlia', però. Era un'idea detta così, come esempio, o è una possibilità concreta? Se la fosse, forse potrebbe essere utile saperne qualcosa... »

    [Eskil 'Starchild']


    Ah, io sicuramente optavo per seguire l'idea che fosse discendente di Heisenhart. Davvero troppe coincidenze, altrimenti, vista la sua ossessione con Ibis - anche se l'incontro era stato breve. Non dissi nulla a riguardo, però.

    «Qualsiasi informazione o pista potrebbe essere utile, Professore.»
    Dissi, dando man forte alla domanda di Ibis ed estendendola a qualunque aiuto o direzione l'uomo fosse in grado di darci.

    [Narratore]


    RASKOLNIKOV: «Oh, no, figlia dei Friedswald è impossibile. La loro affinità era il fuoco, ad un livello mai più raggiunto.»

    Si accarezza il mento coperto dalla maschera.

    RASKOLNIKOV: «Minerva è sempre stata descritta come "Prole del Sole Nero", che sarebbe più accurato tradurre come "Sole Freddo", oppure "Sole Gelido". Tutti termini che stanno ad indicare un essere non umano, nell'accezione in uso nell'Era dei Leviatani. Il termine è usato per indicare la consorte? Oppure per il legame con il Paladino?»

    RASKOLNIKOV: «Esiste su Erden la Cicatrice di Ferro, l'Incantesimo tracciato dalla sua conquista e crociata sull'intera superficie di Erden. Ancora oggi, certe specifiche azioni rituali, compiute sul pianeta impugnando altrettanto specifiche armi, producono risultati magici. Forse era loro desiderio replicarla e farne uso.»


    Un dettaglio, Ibis, a cui annuisci senza nemmeno pensarci. Perché ne eri al corrente.
    Come?
    In che modo?

    RASKOLNIKOV: «Come vedete non esiste nulla di definitivo ed ho il timore di condurvi su una strada errata, facendovi travisare la mia esperienza per conoscenza. Il termine Rubia Avis però è interessante, poiché descrive una creatura straordinaria oramai estinta su Erden. Era un volatile dall'apertura alare di metri e metri, la cui sagoma era sempre avvolta da fiamme fredde. La cenere prodotta dalla sua muta, si dice, fosse in grado di guarire ogni malanno.»

    Tamburella sulla scrivania.

    RASKOLNIKOV: «Eppure perché la paura? Non l'ho mai visto raffigurato con un significato non positivo...»

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    (...)

    Ha annuito, alla menzione della Cicatrice. Anzi, si è sorpresa ad annuire, come se quel punto tra tutti fosse qualcosa di acquisito, chiaro. Scontato, addirittura.
    E perché non dovrebbe esserlo? Alla fine non ha detto nulla che già non sapesse.

    (... Ma io come faccio a saperlo?)

    Distoglie lo sguardo dal tè e ne scambia uno con Eskil.

    Forse è arrivato il momento di esplorare quella vicenda.
    Inspira.

    « Non saprei dirle, professore. Ho riportato unicamente quel che abbiamo visto... magari era parte del delirio febbrile. »
    Si stringe appena nelle spalle. Ora come ora, non è a volatili mistici cui pensa.
    « Ora, a proposito della Cicatrice... »

    [Eskil 'Starchild']


    Soppesai lo sguardo di Ibis, mentre la lingua passava da un canino all'altro, nervosamente.

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Incurva la schiena, facendosi avanti sullo scranno.

    « Questo incantesimo... cos'altro ce ne può dire? È solo su Erden? Cosa fa? Su chi agisce? E - può legarsi ad un individuo? »

    Domande che rivolge anche a sé stessa. Se in qualche impossibile maniera era al corrente della sua esistenza, forse potrebbe sapere anche altro...

    [Narratore]


    RASKOLNIKOV: «La Cicatrice di Ferro? Hm. E' la memoria accumulata dal pianeta della Crociata che Heisenhart condusse in servizio all'umanità. Tanto fu vasto l'impatto sulla storia e tale lo spargimento di sangue attribuiti ad un solo uomo, che Erden non poté far altro che prenderne atto. Alzare una spada come fece tempo addietro il Paladino ne rievoca le gesta e un'ombra dei devastanti effetti.»

    RASKOLNIKOV: «E' trauma, ad un livello concettuale. Tanto un soldato sente gli echi della guerra nello scoppiettio di ordigni pirotecnici, così Erden intravede nelle lame che lo popolano i fantasmi del suo passato. Se mi permettete la poesia nello spiegare.»


    E' ciò che hai visto, Ibis? Gli echi del terrore di un pianeta, giunti fino a chissà quante migliaia di anni luce di distanza? Oh, quella forse sembrava più GLORIA, che terrore.

    RASKOLNIKOV: «Dubito possa legarsi a qualcuno. Per natura.»

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    (Né l'una, né l'altra. Violenza cieca e insensata.)

    [Narratore]


    Raskolnikov ti fissa, Ibis. Intravedi i suoi occhi azzurri come il ghiaccio tra le fessure della sua maschera.
    Sono attraversati da barlumi viola, molto simili a quelli della tazza di Eskil.

    RASKOLNIKOV: «Ma la Magia è sempre capace di trovarmi in errore.»

    Ibis 'Meteor' Douglas — 05/12/2022 23:54
    Ricambia lo sguardo.

    « Temo che questa sia una di quelle occasioni. »

    Prende un altro sorso di tè, per inumidire la gola e oliare gli ingranaggi della memoria.
    Entrambe le cose serviranno, nel racconto che sta per fare, di quei momenti passati faccia a faccia con Heisenhart... o la cosa che pretendeva esserlo.

    [Eskil 'Starchild']


    Ormai mi ero voltato verso Ibis. Raskolnikov ci aveva aiutato molte volte, ma io ancora non sentivo di potermi fidare. Ma di nessuno mi fidavo che non fosse Joachim e, beh, Ibis. Il solo pensiero fece vibrare le ombre che le luce proiettavano delle sedie sul pavimento. Lo ignorai, probabilmente avevo solo visto male.
    Dovevo stare alla scelta di Ibis di raccontare la sua storia al professore, perché non era mia da raccontare. Speravo solo non finisse rigirata alla flotta e la ragazza su un tavolo da laboratorio o, peggio, in mano a fedeli impazziti.
    Certo, sarei andato ad aiutarla, ma speravo si potesse evitare.

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Dedica solo qualche accenno alla maniera in cui si è sviluppato l'incontro, limitato a quel 'contatto' con una misteriosa 'IA' che non si sarebbe rivelata tale; altrettanto parca di dettagli è su quanto è successo dopo l'incontro.
    È l'incontro stesso ad occupare la quasi totalità del suo racconto, e non tralascia nulla.
    Cortesia di quanto impresse siano rimaste quelle scene nella sua memoria, descrive la scena e riporta le parole pronunciate con precisione pressoché assoluta.

    Lo splendore che 'Heisenhart' vedeva nel massacro.
    La sua visione dell'umanità come inestricabilmente vincolata alla rabbiosa volontà di sopravvivere, di essere padrone della propria realtà, in cima al caos dell'esistenza.
    La sua certezza che siano stati solo merito della forza i traguardi raggiunti alla specie.
    Le sue recriminazioni contro i codardi che la conducono, i sacerdoti che lo hanno rinnegato e travisato, e la memoria che gli è stata negata.

    E, dall'altro lato, il proprio reciso rifiuto di quell'"Heisenhart" - impossibile da riconciliare tanto con quanto sapeva della sua figura, delle sue gesta, della propria comprensione della storia, e della proprie convinzioni sulla natura umana.

    Un rifiuto che ha condotto al loro confronto, il guanto di sfida che le ha gettato e lei ha raccolto - ma a proprio modo, rigettando armi in favore di una supplica accorata al vortice di violenza che li circondava.
    Un rifiuto che, per quanto ignorato dalle torme di combattenti, è parso scalfire la certezza di 'Heisenhart'.

    Un rifiuto che, in ultima analisi, ha portato alla sentenza che a tutt'ora porta sul cuore - una Cicatrice, un incantesimo.

    [Narratore]



    Il professor Raskolnikov non offre alcun segno di sorpresa al tuo racconto Ibis. Annuisce appena qualche volta e congiunge la punta delle dita davanti alla sua maschera, in contemplazione. Rimane in silenzio però. Niente più risate divertite.

    RASKOLNIKOV: «Come ho già detto, la Fede è un argomento interessante.»
    Non è un incantesimo, ma non puoi saperlo Ibis. Raskolnikov ed Eskil possono bene guardare la tua persona e non trovarvi alcuna traccia di una minima scintilla di potere Magico. Un Incantesimo sarebbe cosa facile da dissipare. Basterebbe il giusto rito.

    RASKOLNIKOV: «Dunque, Ibis, che domande hai per me riguardo a tale epifania? Vuoi sapere se è vero ciò a cui hai assistito? Se è la Cicatrice di Ferro ad averlo causato?»

    RASKOLNIKOV: «Puoi trarre conforto nell'idea che l'Heisenhart che hai visto è più accurato delle sue raffigurazioni religiose contemporanee. I testi sopravvissuti, per chi li studia bene, ricordano spesso che il Paladino è nato uomo --imperfetto ed esemplare in tutti gli aspetti della razza che ha salvato.»

    RASKOLNIKOV: «Forse l'Incantesimo giunge anche a questa distanza, in misura sufficiente da influenzare gli echi dei Sogni. Forse è qualcosa di più... sta di fatto che sembra ragionevole considerare questa come causa dell'attrazione di Minerva. Forse in te ha riconosciuto un marchio similare alle sue rune.»


    Alza un dito e lo punta direttamente sulla tua cicatrice. Come se la potesse vedere.

    RASKOLNIKOV: «Se è stata forgiata, se le Rune che trova incise in carne ed anima sono simili, allora il suo creatore potrebbe aver provato ad allinearne l'essenza ad Heisenhart. La Fede è un concetto potente, avvera ciò che non dovrebbe avverarsi, convince la Magia a sottostare a regole che non esistono.»

    RASKOLNIKOV: «Pensare che esista una tale trama runica è... terrificante. Per le possibili conseguenze e la chiara metodologia utilizzata per essere giunti a tal punto...»


    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Si porta la mano libera al petto, istintivamente, come a voler percepire qualcosa di quel mistero col tatto... o quantomeno scrollarsi di dosso parte del gelo che le è calato addosso.

    Al di là degli interrogativi mulinanti attorno alla Cicatrice e quali significati ci possa trovare Minerva, sono le osservazioni su Heisenhart che gettano una nuova luce sugli eventi vissuti - una per la quale potrebbe essersi trovata a negare completamente e seccamente una divinità e la sua opera.
    Il solo pensiero le fa contorcere lo stomaco.

    (... Eppure ...)

    Rimane in silenzio per lunghi secondi, in angosciata riflessione.
    Eppure qualcosa è successo.
    Eppure, alla fine di quel 'duello' mai davvero cominciato, a fare un passo indietro è stato Heisenhart.
    Cosa significa?

    « Professore... ho decine di domande, quindi provo ad andare nell'ordine. »

    « Comincio da 'Heisenhart'. Era davvero Lui, che ho incontrato? È possibile? »
    tiene lo sguardo basso, mentre parla; si è fatta più indietro sulla poltroncina, dopo aver lasciato da parte la tazzina sul tavolo davanti a sé.
    « ... Non mi conforta molto, sapere che quella è la realtà dietro al mito. Ammesso che lo sia. »

    Sospira.
    Continua a ripercorrere quei momenti, nel segreto della sua mente.
    Sapendo quel che sa ora, non è certa avrebbe trovato la medesima presenza di spirito per battersi in quel modo...
    (... Ma non me ne pento. Se continuiamo in questi giochi al massacro, è anche perché non lo si fa.)

    Tace per qualche momento, prima di riprendere.

    « Poi... su ciò cui ho assistito, sono quasi certa sia stato reale. Con tutto che i Sogni tendono a sconfinare nella realtà, in un modo o nell'altro, quando è successo l'... incidente, sono stata ripresa scomparire dalla nave per alcuni secondi.
    Qualcosa di fisico deve essere successo. »

    riflette, a voce alta.
    « E, questo qualcosa... se non è stato soltanto un Sogno e la Cicatrice evidentemente c'è, cosa significa? Cos'è, questo marchio? »

    Aggrotta la fronte.

    « C'entra la Fede, vero? Se la... trama runica... di Minerva è stata opera di 'fede' e Minerva ha manifestato chiaramente che mi farebbe a pezzi per capire cos'ho che non va, devo immaginare ci sia una correlazione... »
    « In tal caso, se l'intento del creatore con Minerva era allineare la sua esistenza a Heisenhart... vuol dire che io la sono? »


    [Eskil 'Starchild']


    Le mie braccia si strinsero, incrociate, ancora più intensamente. I pugni si stringevano, rabbiosi, imbiancando le nocche.
    Saremmo usciti da questa stanza con più domande che risposte. La domanda principale che io avevo, era chiaro che Raskolnikov non aveva una direzione.

    Era tutta magia teorica, per lui.
    Per quanto l'argomento fosse affascinante anche per me, io avevo bisogno di qualcosa di più pratico. Minerva era una minaccia per Ibis così come per chiunque gli si capitasse sul cammino e non eravamo in nessun modo più vicini a capire dove potessimo trovarla, né chi aveva impartito la runa su di lei.

    Rimasi in silenzio anche se avevo una domanda, di nuovo una più pratica, per Raskolnikov. Ma non volevo togliere fiato da Ibis che, giustamente, era preoccupata per la sua condizione ed il professore avrebbe forse potuto rassicurarla.

    [Narratore]


    RASKOLNIKOV: «Cos'è davvero Heisenhart, ora? L'uomo che combatté su Erden? La divinità ascesa durante la Grande Crociata? O la fede dei suoi discepoli? I concetti sono distinti, ma non si può dire che non siano parte dell'insieme. Devo presumere l'incontro sia stato vero, sebbene ti raccomanderei dal non assumerne la natura.»

    RASKOLNIKOV: «Forse entrambe siete state toccate da qualcosa che incarna così profondamente il concetto del Paladino da portarne ancora i segni. Tu, per fato, lei per mano di chi l'ha creata. Non sarebbe la prima volta che un essere vivente...»

    Fa un cenno alle due tazze. Una azzurra, l'altra candida come la neve.

    RASKOLNIKOV: «...viene segnato da un potere a lui superiore.»

    RASKOLNIKOV: «Non posso aiutarti però in queste faccende di fede, per scoprire il significato della tua cicatrice dovresti affidarti forse ad un religioso. Un chierico potrebbe aiutarti a trovare la giusta via, o forse potresti faticare per un'udienza con Ser Galehalt. Si dice che il Gran Maestro dell'Ordine delle Catene porti con se un frammento di Aelann.»


    Raskolnikov non elabora il nome, ma tu sai bene che Aelann era una delle lame sorelle impugnate da Heisenhart. Forse i tuoi sensi sono capitati sul nome in qualche scrittura, oppure no. Non cambierebbe la tua padronanza dell'informazione.

    RASKOLNIKOV: «Temo però che mi trovo nuovamente a speculare. Volessi donare un campione del tuo sangue, Ibis, potrei provare a divinare qualche cosa in più. Lo stesso varrebbe per Minerva.»

    Apre un cassetto della scrivania, dal quale rimuove un pugnale argentato dalla punta triangolare e una boccetta di cristallo.

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    « ... Non possiamo usare una siringa, professore? »
    Teme di sapere già la risposta, anche per la specificità dello strumento estratto.

    [Narratore]


    RASKOLNIKOV: «Temo sia necessario per la conservazione del campione. I rituali a cui voglio sottoporre il tuo sangue lo necessitano fresco e, per mia abitudine, non sono a mio agio ad eseguire manipolazioni magiche davanti a ospiti.»

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    (Naturalmente.)
    Tira un lungo sospiro rassegnato.
    (Questa roba magica sarà la mia rovina...)

    [Narratore]


    E' chiaramente una menzogna. Educata, palese, ma una menzogna non di meno. E' Eskil che se ne può facilmente accorgere, perché la segretezza per le proprie capacità magiche è sempre stata tradizione diffusa tra le famiglie di maghi. Solo con l'esplorazione spaziale ciò è andato a perdersi, ma alcuni continuano a custodire gelosamente il proprio sapere.

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Comincia a scoprire il braccio sinistro, chiaramente a disagio.

    « Giusto un taglietto, vero? »

    Ignara della paranoia tipica dei maghi per quanto concerne le loro arti, non da particolare peso al diniego.
    Per quel che ne sa, qualunque rituale intenda fare potrebbe bene essere il genere di cosa da non mostrare a chicchessia - e poi, se vuole delle risposte e quello potrebbe aiutare, può anche fare a meno di un poco del suo sangue.

    [Eskil 'Starchild']


    Assottigliai lo sguardo e continuai ad osservare l'intera scena. Ero sicuro che Raskolnikov aveva sincere intenzioni: sembrava mosso dalla mia stessa curiosità, anche se lui era molto più avanti in quanto a conoscenze mistiche e cosmiche e decisamente più elegante nel parlare e nel porsi. Le ultime due cose, doti assolutamente superflue e a volte controproducenti.

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    È il pensiero del come verrà estratto e il non sapere a cosa andrà incontro ad essere un problema.

    [Narratore]


    Giusto un taglietto. Raskolnikov, con mani più salde di quanto ti saresti aspettata, ti afferra l'arto all'altezza del polso. Con la destra, dopo aver esitato per un istante, lo incide. Fa male, sicuro, ma tra la leggerezza del taglio e l'affilatura del coltello non è insopportabile. Il professore è rapido a raccogliere le gocce di sangue nella boccetta senza che queste macchino la sua scrivania.

    Quante volte avrà eseguito prelievi simili?

    Una volta recuperata una quantità soddisfacente di linfa vitale, agita il coltello e sfiora la ferita. Un battito di ciglia e l'unico ricordo che rimane della ferita è la confusione delle tue terminazioni nervose, che di certo non si sono evolute per comprendere una guarigione magica.

    RASKOLNIKOV: «Non è stato così male, vero?»

    Ti rilascia il braccio una volta soddisfatto e va a riporre la fiala dentro i cassetti. Al suo posto, compare una scatola di cristallo contenente dei deliziosi biscotti usciti da qualche pasticceria artigianale di Cassiopea. Un lusso. Ve li posa davanti, così che Ibis possa aumentare la quantità di zuccheri nel sangue.

    RASKOLNIKOV: «Ti farò sapere appena compio gli adeguati rituali, poi deciderai se condividere con Eskil. Non intendo offesa mio giovane amico, ma una divinazione del sangue è tanto personale quanto potrebbe esserlo una visita medica. Sarebbe deplorevole per me spargerne gli esiti a terzi.»

    [Eskil 'Starchild']


    Mi grattai il naso e lasciai che l'intera situazione si risolvesse.
    «Tornando un attimo alla faccenda delle rune.» Dissi, immerso nei pensieri già da un po'. «Ammesso che ci sia qualcuno che manifesta questo anomalo tipo di magia qui a New Eyre, non lascerebbe delle tracce?» Chiesi, ed inclinai un po' il capo ricordando dell'esistenza di certi individui in grado di tracciare la magia, anche se non ero sicuro potesse funzionare su larga scala. «Esiste qualcuno abbastanza dotato dal poter rivelare un'attività anomala nella realtà dando uno sguardo alla città? Una passeggiata? O troppe cose dovrebbe coincidere per renderlo possibile?»

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Si massaggia il polso, per riflesso, un'espressione di vaga incredulità sul viso.
    Il dolore è durato un attimo, e non ha nemmeno lasciato un segno.

    (Giusto un taglietto davvero! Tu immagina...)

    Si era immaginata molto di peggio, per de-merito di grandi classici holovid quanto della propria più o meno giustificata malfidenza nella stregoneria.
    Rituali oscuri in notti di luna piena, lugubri squarci sanguinanti lasciati da truci figure incappucciati, risate malefiche levate per la sofferenza della vittima... tutto il repertorio, insomma.

    « N-No, nossignore! »
    scuote il capo, abbozzando un sorriso.
    « Scusi la reticenza... sa com'è... »

    Il senso di colpa parla per lei, e rimane sul vago.
    Si sente un po' sciocca ad essersi fatta tutte quelle immagini mentali, glielo si legge in faccia; a maggior ragione quando tira fuori quella meravigliosa scatola di biscotti, nella fattura e nei contenuti.

    « Ah, molto gentile! »
    ringrazia lei, accettando ben volentieri l'offerta.
    (Chissà se anche questo cristallo cambierà colore...)

    Presi un paio di biscottini, torna alla sua postazione e comincia a mangiucchiarli, senza fretta.

    « ... Prima, ha detto che forse dovrei parlare con un chierico, per queste materie di fede. Ha in mente qualcuno di specifico? O dovrei andare da quel Ser? »
    domanda, tra un boccone e l'altro.
    « È molto occupato, che si fatica ad avere udienze? »

    [Narratore]


    RASKOLNIKOV: «Conquistare un'udienza con Ser Galehalt, per quanto difficile, sarebbe forse meglio per mantenere una certa riservatezza...»

    Raskolnikov poi lascia cadere il silenzio, avendo iniziato a ragionare sulle domande di Eskil. Si alza, infine, per andare a cercare un nuovo libro. Questo è un tomo più piccolo, dalla copertina verde e consumata. Non ha un titolo, ma ha l'aria di essere antico. Eskil ne può osservare le pagine ingiallite, i bordi consumati ed ammirare come ciò sia avvenuto nonostante l'incantesimo che vi è stato impresso sopra. Qualcosa di votato alla conservazione.

    RASKOLNIKOV: «E' raro che un'alterazione della Magia lasci un segno se non si verificano peculiari circostanze. Heisenhart vi da il primo esempio. Altrimenti è risaputo che costanti ripetizioni del medesimo rituale nel medesimo luogo tendono a lasciare dei segni per lungo periodo, ma nulla che permane ad infinitum. E' comunque improbabile che la vostra Minerva sia prodotto di Manifestazioni abbastanza recenti da lasciare evidente traccia.»

    Fa un gesto con la mano verso la finestra.

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    (Hmm. Riservatezza... forse è meglio così.)
    pondera, accarezzandosi la guancia.
    (Se c'è quella Minerva di mezzo, se si venisse a sapere che sto cercando di capirci qualcosa, c'è il rischio concreto che faccia un macello per venirmi a prendere...)

    [Narratore]


    RASKOLNIKOV: «Una Runa è il prodotto di ricerche. Mesi, anni, addirittura. L'incisione potrebbe richiedere il supporto di reliquie, rari componenti alchemici, oppure precise coordinate spazio-temporali. Qualcosa di concettualmente legato alla Fede, se decidete di credere che ciò che Minerva vi ha suggerito.»

    RASKOLNIKOV: «Ci sono metodi per elevare di molte magnitudini i propri sensi e investigare alterazioni nella Magia, ma li sconsiglio a priori per la loro pericolosità.»


    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    ( ... Aspetta ... )

    Sbatte le palpebre, realizzando una piccola peculiarità nella scelta di parole del professore.

    « In che senso, 'conquistare' un'udienza? »


    [Eskil 'Starchild']


    Mi voltai verso Ibis.

    «Stai attenta a chi racconti questa storia. Capisco molto meglio di altri che vuoi scoprirne di più, ma cerca di non finire con un target sulla testa.» Le dissi pensando che, in realtà, dovevo essere l'ultima persona a dare consigli del genere visti i miei comportamenti. Ma Ibis era diversa da me.
    Spostai di nuovo lo sguardo verso Raskolnikov. «Giusto, Minerva dev'essere un vecchio prodotto. Assumendo che non stiano creando altre di lei, professore, come si muoveresti se fossi nei nostri panni? Aspetteresti si facesse viva da sola?»

    [Narratore]


    RASKOLNIKOV: «Ser Galehalt di Achenval non è famoso per la sua ospitalità e von Wolff non ha certo sufficiente ascendente con gli Ordini Cavallereschi. Ottenere un invito sarà cosa ben difficile mia cara.»

    Il professore alza i palmo della mano al cielo alla tua domanda, Eskil e scrolla le spalle. Una risposta molto... umana.

    RASKOLNIKOV: «Se fossi nei vostri panni cercherei di collezionare quante più informazioni possibili, poiché la prima critica mancanza di cui sembrate essere afflitti è proprio la conoscenza del vostro nemico. Attendere non è un'azione dopotutto. Sarebbe accettare di non poterne compiere alcuna valida.»

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Annuisce.
    (E Minerva, o chi la usa, non se ne starà certo con le mani in mano nel frattempo.)

    « Attendere non è una vera opzione, no, quindi... come posso conquistarmi quella udienza? »

    domanda lei, incrociando le braccia.
    « E, questo Ser Galehalt di Ach- »

    Si blocca.
    Non aveva ancora menzionato la sua origine, il professore, e sul momento non ci aveva fatto caso; ora, invece, il titolo guadagna una lugubre prominenza.

    « A-Achenvald? Quella Achenvald? »
    lo sguardo cala sulla destra del proprio petto, in un ormai involontario riflesso; il nastro blu orlato d'oro è sempre lì, ad attenderla al varco.
    (Oh no...)

    Achenwald, una delle primissime colonie ribelli - e come tale, una delle più martoriate dalla Secessione e dalle innumerevoli atrocità commesse lungo la sua triste storia.
    Come con Kaspar, intere aree planetarie sono state rese invivibili crateri nucleari. Come con Kaspar, ma così anche ogni singolo pianeta toccato da quella sciagurata guerra, le cicatrici rimangono profonde.
    E, bene o male, anche lei ha giocato una parte.

    (Con che faccia posso andare da questo tipo a chiedergli aiuto?)

    [Narratore]


    RASKOLNIKOV: «Entrambe, in realtà, ma l'Ordine delle Catene non è solito interessarsi di faccende temporali. Rimane comunque il problema dell'udienza, che di questi tempi è più facile ottenere tramite il Lord Alambert corrente. Ser Galehalt ha concesso servigi personali all'alchimista...»

    Si ferma un momento, per farti arrivare da sola alla conclusione prima di esplicitarla.

    RASKOLNIKOV: «... ma anche il Lord Alambert è poco avvicinabile. Potresti conquistare un'udienza se trovassi qualcosa di materiale e concreto da sottoporre loro. O riuscissi ad accumulare abbastanza favore. Entrambe le cose, altrettanto complesse.»

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    (Oh bene, un alchimista. Altre cose Arcane di cui non so un accidente), pensa sconfortata, addentando un altro biscotto per addolcire l'amaro boccone.

    « Qualcosa di materiale e concreto... come, se posso chiedere? Temo di non avere, né sapere, nulla che possa interessare ad un alchimista. »
    fa lei, sollevando appena le spalle.
    « Le mie competenze iniziano e finiscono con la tecnologia, l'informatica e l'astronomia... »

    [Narratore]


    RASKOLNIKOV: «Quello è proprio il problema attuale, mia cara Ibis. Non sei dotata della prodezza marziale che potrebbe attirare l'occhio di ser Galehalt, ne della capacità per sostenere una conversazione intelligente che interessi il Lord Alambert.»

    RASKOLNIKOV: «Salvo riuscire a rimediare un'ampolla di sangue di Minerva, che la Flotta celermente sequestrerebbe, sei alla mercé di una scoperta fortunata. Potrei preparare qualche decotto che aiuti nella meditazione, ma non è sicuro quanto una conversazione a cuore aperto con qualcuno che, tutto sommato, ha dedicato ad un aspetto di Heisenhart la sua vita.»


    Sicuro, Ibis, non è un aggettivo che si riferisce alle probabilità di successo. Nel contesto in cui è inserito va a richiamare il pericolo di una nuova lama nella notte e le parole di Dupont.
    La prossima volta potrebbero decidere di lasciarti dove sei finita a terra.

    RASKOLNIKOV: «Rimanete padroni dei vostri destini però. Non sarò certo io a impedirvi di usufruire delle mie conoscenze se credete di voler correre rischi.»

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Sospira.

    « Io e la fortuna non siamo buone amiche, purtroppo. Sperare di inciampare in qualche scoperta che possa interessarli non credo sia una strada percorribile... senza contare che Minerva non se ne starà con le mani in mano, non penso. »
    scuote appena il capo.
    « Quindi... questo decotto, cosa dovrebbe fare? E... cosa potrebbe farmi? »

    Scambia uno sguardo con Eskil.
    Sebbene dubiti che possa davvero aiutarla, dentro a qualunque incubo potrebbe trovarsi ad affrontare... sarebbe di qualche conforto averlo a guardarle le spalle mentre è KO.

    (A meno di svanire nell'etere di nuovo), conclude cupamente, tra sé e sé.

    [Narratore]


    RASKOLNIKOV: «Normalmente aiuta a sprofondare in un profondo stato meditativo non dissimile ad un coma medico. Aiuta ad affrontare il proprio subconscio, a preparare determinati rituali oppure si rivela necessario per specifiche -ed esoteriche- branche magiche. Cosa potrebbe farti? Francamente non ne ho idea. Ucciderti, frammentarti la psiche. Oppure riportarti in luoghi già visitati nei tuoi... ah, sogni.»

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    « ... C'è qualche modo per prepararsi contro quelle evenienze? »

    A ripensarci, da quel primo 'incontro' ne è già uscita praticamente morta - ed è per merito, solo in parte ironico, dei sospetti della Sezione Due che sia stato solo un praticamente.
    Può andare peggio? Probabile. La vita è sempre stata generosa con lei, in merito.

    In quell'occasione non sapeva cosa stesse facendo, non realmente. Era partita con l'idea di cercare risposte negate dalla Flotta, ne è uscita marchiata da una divinità che molto probabilmente è davvero quella che ha rifiutato.

    (Avrei rifatto tutto, sapendo quel che so ora?)

    La domanda rimane. La risposta latita.
    Anche se non intende ritirare le obiezioni mosse, né le proprie convinzioni... di cos'era davvero figlia, la sua veemenza?

    ( ... )

    Quel che è certo, è che avere ora un preavviso del pericolo la sta facendo dubitare di molto. Forse troppo.

    [Eskil 'Starchild']


    Ricambiai lo sguardo diIbis.

    «La scelta di utilizzare sostanze è tua, io posso solo garantirti che la prossima volta che mi troverò Minerva di fronte, se dovesse rompere le scatole, uscirò dall'incontro con un po' del suo sangue.»
    Mi passai la lingua tra i denti, soprattutto quelli molto appuntiti. Semplice.
    «Curioso che nomini la Flotta perché era decisamente il posto in cui pensavo di portare un eventuale campione di sangue.»

    Sorrisi storpiamente.

    [Narratore]


    RASKOLNIKOV: «Nessuna preparazione riuscirà ad esonerarti dai rischi, la cui natura, anche per me, rimane frutto di pura supposizione.»

    Eskil, senti Raskolnikov sospirare da dietro la maschera. L'aria gratta contro il materiale, intrappolata al pari delle espressioni del professore.

    RASKOLNIKOV: «Lascia che ti consigli prudenza nel trattare con un individuo che è stato intagliato da più rune, specialmente se presenta collegamenti stretti con il Paladino. Quando si tratta di Heisenhart il confine tra Elemento ed Archetipo è molto fragile ---ho visto spesso la legge della causalità piegarsi per rispettare la leggenda che si è lasciato dietro.»

    RASKOLNIKOV: «Qualunque sia la sua natura, di Minerva, e nonostante il mio desiderio di lasciarvi vivere come desiderate, sono costretto a suggerirvi di non prolungare troppo i contatti. Almeno fino a che non ne saprete di più.»


    Ridacchia molto gentilmente. Catch-22. E' evidentemente consapevole della contraddizione, non potrete saperne di più senza prima avere contatti, che dovreste limitare prima di saperne di più. Ciò che vuole comunicarvi è di tenere la testa sulle spalle. Di non sottovalutare Minerva. E di non fare più del necessario.

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Allarga le braccia, esibendo l'universale gesto di rassegnazione e sospirando.

    « Immaginavo una risposta così », dice, guardando il professore e tacendo per qualche secondo. « ... In tal caso, posso contare su di voi? Sarebbe di qualche conforto sapere che ci siete voi... e magari qualche paramedico... attorno, mentre sono fuori uso. »

    Inspira, passando il suo sguardo su entrambi e dedicando loro un piccolo sorriso irrequieto.

    (Stare ferma e sperare non ha funzionato in passato e non lo farà ora... dritti nelle fauci del leone quindi, un'altra volta. Se soltanto potessi essere incosciente come la prima...)

    Finisce il suo biscotto, si passa il dorso della mano destra sulle labbra, e si accarezza il mento.

    « Ancora una domanda sul tema, professore. Lei pensa che ho davvero incontrato Heisenhart? O che comunque la cosa che ho incontrato sia più... vera, di quella che crediamo normalmente? »

    [Narratore]


    RASKOLNIKOV: «Mi pareva di aver già chiarito la mia posizione in merito, no? Ebbene, quando i credenti stringono a se i propri simboli sacri a chi dedicano le preghiere? Ad Heisenhart, certamente, ma chi è Heisenhart? L'uomo, il conquistatore ed eroe dell'umanità? Il dio, asceso durante la Grande Crociata? Oppure un concetto che incarna la loro fede?»

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    A ripensarci, aveva detto qualcosa del genere.
    Se l'era perso nel resto delle sue preoccupazioni.

    « Um... »
    ( ... Tutte e tre? Forse? Non ne ho la più pallida idea, sono cose da chierici queste! )


    Tiene per sé quel commento interiore, almeno per ora.

    [Narratore]


    RASKOLNIKOV: «Tutti questi aspetti contribuiscono a tessere la leggenda di un uomo che, come te, è nato, cresciuto ed ha dovuto affrontare l'atroce realtà dell'esistenza. Che tu abbia incontrato l'uomo, il dio o la manifestazione della fede -o un misto delle tre cose- non rende la tua esperienza meno vera, comprendi?»

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    « Sì... no, cioè... »

    il filo logico si perde pressoché subito, aggrovigliato tra i possibili aspetti; tira un colpetto di tosse, per mascherare maldestramente quella falsa partenza.

    « Ahem. Credo di capire che fosse vero, certo, nel senso che senz'altro è successo e ho una cicatrice magica a provarlo, ma... quello che non so è se era davvero Heisenhart, l'originale, oppure... un mischione di storia, leggenda e fede, ecco. »
    replica incerta, provando a raccapezzarsi man mano che parla.
    « A meno che lei mi stia dicendo che ormai è impossibile distinguere il tutto, e quindi questo è quel che vedo? O che è comunque di importanza secondaria, se quello è ciò che ora 'esiste' di Heisenhart? »

    « ... O forse, in fin dei conti, quel che vorrei sapere davvero è se avesse ragione lui, con quelle tirate sulla violenza e la guerra che hanno spianato la strada per noi e quant'altro. Se sono stata ingenua a pensare altrimenti. »
    conclude, distogliendo lo sguardo e posandolo sul cristallo nella sua mano.

    [Narratore]


    RASKOLNIKOV: «Sto proprio dicendo che non ha molta utilità pratica cercare il vero in qualcosa che si è manifestato nella storia dell'uomo sotto più aspetti. Avessi incontrato il Cavaliere, piuttosto che Heisenhart il dio, cosa cambierebbe? Ti convertirebbe alla fede? Darebbe più peso alle sue parole?»

    RASKOLNIKOV: «Credo che ti lascerò a rimuginare su quanto esse siano vere, mia cara Ibis. Temo tu speri che io ti aiuti, qui ed ora, ad assolvere la razza umana dal peccato di cui è accusata, non è vero? Ma forse ti farebbe meglio arrivare ad una conclusione più genuina.»


    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Scuote il capo.
    « No, professore. Vorrei solo sapere se e quanto sia vero. »
    « Certo, un'assoluzione farebbe piacere, ma... senza verità, non varrebbe molto. »


    Sospira.

    « Sia come sia, immagino che dovrò scoprirlo da sola... »

    Finisce il suo tè, quindi, e posa la tazzina sul tavolo.

    « Bene, allora. Se per lei non dovesse essere un problema, sarei disposta a tentare il suo infuso... mi dica pure se c'è qualcosa che posso fare per assistere nella preparazione. »

    Fatta l'offerta, si siede un po' più avanti sulla poltroncina - quando sembra ricordarsi qualcosa.

    « Ah, sì, un'ultima cosa... le spiacerebbe riaprire il rapporto? C'è qualcosa che vorrei chiederle su un indizio trovato. Alcune carte scritte in una lingua a noi ignota... »
    spiega, alzandosi ed armeggiando con l'Archimedes per preparare le foto scattate delle stesse; le mostra quindi al professore.
    « Lei la conosce, per caso? »

    [Eskil 'Starchild']


    Annuii, perché era effettivamente una buona idea che avevo completamente dimenticato.
    Con tutto quello che era successo, con tutte quelle rivelazioni, non stavo davvero più pensando al caso del pittore.
    Sembrava uno che si trovava al momento sbagliato nel posto sbagliato ed era stato attaccato in qualche modo dall'alfabeto, dall'incubo di vetro, ma senza direttamente interagirci.
    Sicuramente un occhio ci avrei voluto dare e forse mi sarei dovuto informare se Veld si fosse ripreso un po', fargli domande sui quadri e sull'accaduto, ma... Una parte di me non voleva.
    Una parte di me voleva abbandonare quella piccola pista verso l'alfabeto, solo perché non volevo lavorare gratis per la flotta.
    Mi avessero pagato, ci avrei di nuovo rimesso le mani dentro. Altrimenti, perché aiutare?

    [Narratore]


    Raskolnikov non apre il rapporto, ne chiede il tuo Archimedes per guardare più da vicino le scritte. Gli occhi, non celati dalla maschera, seguono per qualche breve istante il testo prima di bloccarsi e tornare a fissare i tuoi, Ibis. Il professore annuisce.

    RASKOLNIKOV: «E' Draconico. Umano-draconico se vogliamo essere scientifici, la prole di Gáil Mor non ha mai dato prova di comunicare tra di loro con un alfabeto scritto. E' una lingua morta, completamente perduta da ben prima dell'Era delle Baionette.»

    Intreccia le dita e si sporge in avanti.

    RASKOLNIKOV: «Posso provare a tradurla ma non garantisco alcun risultato. Potrebbe essere un insieme di lettere privo di senso, capite? Senza contare la totale mancanza di materiale di riferimento salvo per qualche brandello di pergamenta.»

    Torna ad appoggiarsi allo schienale della sua sedia.

    RASKOLNIKOV: «Lasciatemi qui tutto. Ibis, tu puoi tornare tra... un paio d'ore, si, dovrei riuscire a contattare chi di dovere per vegliare su di te. Ti consiglio di mettere ordine nei tuoi affari, in ogni caso. Posso chiamare un notaio di mia conoscenza se non hai ancora fatto testamento.»

    Il professore parla di morte e testamento con lo stesso tono con il quale ti offrirebbe biscotti. Non vi è pathos, ne particolare apprensione per la tua sorte. Forse non gli interessa se vivi o meno. Forse invece è così che si comporta un mago degno di quel nome.
    Se avete altro da dire a Raskolnikov, questo è il momento.

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Tace, ammutolita da quello scambio finale. Lo sguardo si perde nel vuoto.
    La sua decisione, già piuttosto vacillante, prende un'altra sonora sprangata - e non può fare a meno di pensare che forse sia stata davvero l'incoscienza a darle la forza, allora.

    « ... »

    Parlare di pericoli così, in astratto... 'potrebbe ucciderti o frammentarti la psiche'... quello è un conto. È un pericolo chiaramente delineato, ma i quando e i come rimangono nell'ombra; c'è la possibilità, la speranza, di poterli evitare, in qualche modo.
    Il testamento no.

    Il testamento è qui, ora e presente, un concretissimo e ineluttabile promemoria della certezza della fine.
    Nulla come una risma di asettica burocrazia per ricordare la finitezza e mortalità umana.

    (... Maledette stupidaggini magiche!)
    pensa, la frustrazione palese sul suo viso; involontariamente, le sue mani premono sui braccioli.
    (Cosa accidenti ho fatto per finire invischiata in questa roba?! Non sono nemmeno credente! Non mi interessano queste storie di incantesimi e divinità e quant'altro! Fosse per me, mi lascerei alle spalle tutta questa robaccia... è alle stelle che punto, non alla santità o balle del genere!)
    volta il capo verso le finestre, con uno sbuffo.
    (... Ma non è solo per me, vero? C'è quella cosa là fuori... e il suo creatore. Qualunque cosa vogliano fare, non può essere nulla di buono...)
    inspira, profondamente.
    (... Posso davvero fare finta di niente? Me lo perdonerei, se facessero qualche altro disastro... magari per causa mia?)

    Quella, è una domanda di cui conosce già la risposta - e la conosce perché, come il testamento, non è una ipotesi astratta.

    « ... Okay. Se contattare Galehalt è fuori discussione e Alambert è inavvicinabile senza qualcosa che possa interessargli, cosa che non posso trovare su due piedi... l'infuso rimane l'unica opzione. »
    tira un profondo respiro.
    « Chiami il notaio. E, um... se possibile, vorrei chiamare anch'io qualcuno per vegliare su di me. »


    I suoi occhi si posano su Eskil.

    « ... Se ti va, e se al professore va bene. »
    mormora, combattuta.
    « Giusto per non essere completamente sola... »

    Un'ammissione patetica, se ne rende conto; sia per sé, quanto per il chiedere un testimone al suo capezzale, col rischio che non possa fare nulla per assistere.

    [Eskil 'Starchild']


    Ero pensieroso riguardo l'intera faccenda dell'infuso.
    Era decisamente una cosa alla me gettarsi a capofitto in qualcosa di astratto, misterioso e potenzialmente mortale. Lo avevo già fatto più di un paio di volte, era praticamente il mio modus operandi.
    Ma Ibis?
    Ricambiai il suo sguardo e, comunque, ricordai il motivo per cui lo stava facendo.
    L'avventura che aveva vissuto con Heisenhart, che avrei pagato per vivere anche io - anche se lei probabilmente avrebbe preferito non fosse mai accaduto.
    Come me, lei doveva venirne a capo. Doveva capire cose le era successo e cosa le stava attivamente succedendo.
    Le mostrai i canini in segno di sorriso e mossi il braccio piegato in avanti per pollice all'insù.

    «Non penserei di perdermelo.» Le risposi, proseguendo poi con un occhiolino rapido per confermarle la mia volontà.
    Non l'avrei lasciata morire senza risposte.

    [Narratore]


    Non c'è più nulla da dire, dunque. Nessun congedo può superare l'impatto di alcune rivelazioni che sono uscite da questa conversazione.

    ===
    ▂▅█▅▃▅▂▁
    ▂▁

    ===


    Due ore passano in fretta.
    Troppo in fretta.
    Troppo per abituarvi al passaggio dalle bianche torri di New Eyre ad un sotterraneo oscuro, dove Raskolnikov ha situato il suo laboratorio. E' proprio qui che vi trovate ora: Eskil relegato in un angolo con una sedia girevole per compagna, Ibis seduta comodamente su una poltrona e con una flebo assicurata al braccio sinistro.
    La fiducia è una cosa fragile.
    E per ora non vi è motivo per considerarla infranta.
    Eppure, per molti, questo è il proverbiale filo del rasoio.

    Ampolle, alambicchi, fornaci e tubi di ventilazione decorano la stanza larga circa sette-otto metri per lato. Tomi di vario genere oscurano le pareti grezze, intagliate in roccia sedimentaria e appena levigate e puntellate. L'unico elemento che distingue il locale da una tetra prigione sono i glifi fosforescenti intagliati ovunque.
    Per Ibis potrebbe sembrare uscito da un film. Eskil, tu ne percepisci le alterazioni che innumerevoli incantesimi applicano, delicatamente, quasi con timore, alla Magia del locale. Protezione, sicurezza, conservazione, guarigione. Questo è effettivamente il sancta sanctorum della ricerca -qualunque essa sia- di Raskolnikov. Un luogo di cui vi ha reso partecipi.

    Gli occupanti della stanza, oltre a voi, sono Raskolnikov e due suoi... seguaci? Apprendisti? Indossano camici da chirurghi e maschere simili a quella di Raskolnikov, sebbene prive dei dettagli a cui oramai siete familiari. Non si sono presentati, ne il professore vi ha resi partecipi delle loro identità. Deducete sia inutile chiedere, a questo punto.
    Sono impegnati però. Uno sta terminando un nuovo intaglio nel pavimento, borbottando mantra come focus. Il secondo sta controllando la distillazione di tre composti differenti.

    Raskolnikov, invece?
    E' davanti a Ibis.
    Le offre una coppa di liquido trasparente.
    Le candele eterne, sospese a qualche decina di centimetri dal soffitto, gettano sulla superficie immobile dei riflessi argentati.
    E' inodore.
    Eppure il petto ti comincia leggermente a bruciare. Paura? Effetto placebo?

    RASKOLNIKOV: «Bevi quando sei pronta.»

    Ti lascia tra le mani la coppa, borbottando qualcosa in una lingua che ti è aliena. Un augurio, una benedizione, poco importa.

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Un posto lugubre e misterioso, per una situazione lugubre e misteriosa, diretta verso un esito come mai incerto.

    « ... »

    Fissa l'infuso, la sua superficie innaturalmente fissa e i lampi candidi che la colorano per brevi istanti, sotto al candelabro.
    Anche lì, a chissà quanti metri sottoterra, si sofferma a cercare in quello specchio alchemico la luce delle stelle, o qualcosa che gliela ricordi.
    Forse sarà la sua ultima occasione di farlo.

    (... Meglio non pensarci.)
    scuote appena il capo, tra sé e sé, e prende un profondo respiro.
    « Bene... »

    Si volta a guardare tutti i presenti, e ripensa a tutti gli assenti.
    Il professore, Eskil, gli assistenti...
    ... I suoi genitori, Filio, il capo, Colin e gli altri. Adrian.

    « Spero di rivedervi presto. »

    Si congeda così, rivolta a tutti, sollevando piano la coppa come a mimare il gesto di un brindisi con un sorriso più convinto di quanto realmente si senta.

    E beve.

    [Eskil 'Starchild']


    Prima di tutto questo luogo era incredibile.
    La magia che trasudava e attraversava tutti gli oggetti, i muri, il mobilio. Sembrava ovunque, intricata e funzionale.
    Un giorno avrei voluto anche io un posto simile, quando avrei avuto più soldi e più esperienza.
    Ma questo era il momento per Ibis di partire per il suo viaggio.
    Guardai Raskolnikov e poi lei, con un po' di apprensione.
    Annuii e le sorrisi appena.

    Ero sicuro che Ibis non fosse super contenta di questa sua esperienza e ora di questo viaggio che stava per compiere verso i limiti dell'abisso conosciuto, ma non glielo rimproveravo.
    Avevo ormai capito da un po' che quelli come me e Raskolnikov eravamo l'eccezione, non la regola.
    «Non divertirti troppo senza di me.» Le dissi, per sdrammatizzare un po'.
    Poi bevve.
     
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    [Narratore]


    La luce delle stelle.
    La bevanda sa di... nulla.
    Nulla non è un termine casuale, non serve a indicare la difficoltà per le tue papille gustative di percepirne l'effimero sapore. No, è qualcosa di più terrificante, di cui ti accorgi solo quando ti sei già abbeverata del liquido alchemico.

    thum-thump

    E' la totale assenza di sapore. Di gusto. Di qualsiasi sensazione. Inghiotti qualcosa che il tuo corpo rigetta con tale pregiudizio da rifiutarsi di percepirlo con qualsivoglia senso.
    Oppure...

    thum-thump

    ...oppure qualcosa che non puoi percepire. Qualcosa di talmente alieno da trascendere i limiti di un corpo umano.

    Un pensiero ti attraversa la mente.

    thum-thump

    Chissà cosa sentiressi se avessi studiato mag---

    thum-th---------------
    ----------------------
    ----------
    ----
    ▂▃▂▆▅▇██▇▆▇▅▂
    ▂▅█▅▂▁


    ----

    La prima cosa che senti è il suono melodico e cristallino di onde.
    La cacofonia della GUERRA non abita più questi luoghi. E forse, non li ha mai abitati. Puoi solo udire gli echi della marea che si infrange sulla riva.
    Ancora prima di riuscire ad aprire gli occhi sei avvolta dal tepore di un tramonto estivo. Il caldo, altrimenti opprimente, è scacciato dalla carezza di una brezza gentile. Riesci a percepire la tranquillità e la PACE di questo luogo.
    E, quando finalmente riesci a sollevare le palpebre---
    ---ti accorgi di essere tra rovine.

    Rovine antiche, che non presentano alcun segno di essere state violate se non dall'incedere inesorabile del tempo.
    Bassi muri di granito e colonne di marmo.
    Un tempo splendidi esempi di architettura, ora coperti da polvere e rampicanti.
    Sono memorie di tempi tramontati.
    Eppure, anche in queste condizioni, conservano una certa presenza. L'amore degli artigiani che ne hanno intagliato i rilievi, la precisione di ogni scalpellino che ha fatto si che ciascun mattone combaciasse---
    ---segui il colonnato fino in fondo.
    Fino ad un trono.

    E' uno scranno semplice dalla struttura in legno. Dove il rosso imperiale dei cuscini non copre, oro e acciaio si intrecciano in decori che Erden non ha più visto da quando i Draghi hanno lasciato il pianeta. Su metallo e velluto danzano i riflessi di stelle e galassie; la loro luce discende da un cielo che è privo di sole e d'ombra.
    Quando alzi gli occhi al firmamento, non vi è colore che puoi descrivere ne ricordare.

    Ci sono solo le STELLE.

    ---------ERRRorE------------

    Ci sono solo le stelle.

    Quando dedichi nuovamente cuore e occhi al trono, ti accorgi che non sei la sola ad abitare questa--
    ---dimensione? Sogno? Realtà?
    Davanti a te, visibile oltre il basso muro, un mare argentato.

    Dietro---
    ---dietro ti rifiuti di guardarlo.
    Qualcosa ti dice che non dovresti.

    Sul trono?
    Il tintinnio del metallo, gli echi della Conquista. Il sangue dell'uomo e il suo più grande atto.
    Nella mano destra stringe ██████, Lancia di ██████, ██████ e degli Astri.
    La punta nera, scolpita da █████████ nelle fucine di ██████ sibila al vento.
    Il suo padrone, lo hai già conosciuto. Lo hai già visto.
    Hai già udito il nome gridato verso il firmamento.

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    L'infuso scende come acqua fresca - anzi, aria.
    Se ne accorge perché sono le labbra, poi la lingua, poi la gola, ad avvertirne la presenza fisica; il gusto non è minimamente chiamato in causa, per qualche curioso motivo.
    Non sa di niente, ma non nella maniera in cui l'acqua non sa di niente. Lì c'è un senso di... freschezza, appunto, una certa densità anche, magari un pizzico di salinità.
    Qui no. Questa sa di aria ferma, immobile.

    Non sa di niente? (No... sa di niente.)
    L'alienità di quella percezione, il raggiungere quella piccola illuminazione, le lascia uno sgradevole disagio addosso.

    E sarà quello il suo viatico per l'altro mondo.

    [...]

    Quiete.
    Molto poco raggiunge le sue orecchie. Distante, dapprima, e poco alla volta più nitido. I sensi che si risvegliano.
    Sciabordìo di onde, attorno a lei. Avanti, indietro. Avanti, indietro. Flusso e riflusso della marea.
    Un tepore sulla pelle, placido. Una luce rossastra, quasi vermiglia - deve star facendo tardi.
    Una brezza di mare sul viso... una ruvidità umida sotto le dita. Tasta, debolmente, attorno a sé.
    Il torpore è grande, appesantisce le membra come un sudario, ma quel poco riesce a fare; e quel poco smuove il resto.
    Sabbia.

    (... Una spiaggia?)

    Trattiene il respiro, ferma, e si ascolta.

    (... No, sono okay. Respiro a posto, non mi fa male tutto... nessuno stimpack che mi perfora la pelle o voci nervose...)
    « ... Heh. »


    Sorride, tra sé e sé, ripensando agli istanti dopo la sua ripresa di coscienza durante l'operazione Alphabet.
    Ad Hannah, accanto a lei - seccata, esausta quanto lei, sedute all'ombra di un albero ad osservare le fasi finali di una battaglia duramente combattuta, e vinta.
    Un bel momento. Anche se non saprebbe articolare perché, non a parole.

    Espira, svuotando i polmoni e dischiudendo lentamente le palpebre.

    (... No, decisamente non è allora. Questo posto... )

    Si tira su, altrettanto lentamente, e si scrolla di dosso la sabbia.
    Si guarda attorno, nel mentre.

    (... Non è un orrido campo di battaglia. Questo è un netto miglioramento. )

    Comincia a muovere qualche passo, incerto dapprima e osteggiato da una muscolatura ancora dormiente, verso le rovine che punteggiano la rena.

    (Che pace...)

    Il sole del crepuscolo, la brezza marina, lo sciabordìo delle onde, i monumenti diroccati. Le sabbie che tutto coprono.

    (È questo che si intende, quando si dice 'le sabbie del tempo'?)

    Sia o meno, ciò che domina in quel luogo è una profonda quiete - un istante di pace, bagnato nella luce dorata del tramonto.

    (Una bellezza rara e desolata, poetica...)

    E la bellezza abbonda, anche in altre maniere.
    C'e della vera arte nelle architetture che incontra, nei rilievi e nelle statue in cui si imbatte - un'arte e una cura che sopravvivono alle angherie del tempo, evidentemente.

    (E che tempo), considera, tra sé e sé. (Queste strutture sono...)

    Per mancanza di una parola migliore, medievali.

    Frammenti di ere passate, come riemersi dalle pieghe della storia - se fosse su Erden, siti del genere avrebbero enormi biosfere attorno per preservarne le condizioni, ampi camminamenti panoramici per osservarli, e gruppetti di droni e omini in camice intenti nella catalogazione e analisi.
    Niente di tutto quello, qui. Solo lei e la quiete di un frammento di storia.

    I suoi passi, non precisamente lineari - si sofferma ad ammirare da più vicino alcuni dei monumenti, trascinata dalla curiosità - la portano infine a quanto rimane di quella che, un tempo, doveva essere una sala imponente.

    È meglio preservata del resto, anche se 'preservata' è una esagerazione; le mura perimetrali rimangono in piedi, anche se ridotte pressapoco all'altezza della sua vita, mattone più mattone meno, mentre quello che è chiaramente identificabile come un colonnato si erge ancora contro il cielo. Danneggiato e sbrecciato, ma fiero.

    Il cielo.
    Seguendo dal pavimento al cielo il corso della colonna, si rende conto di cosa c'è davvero in cielo.
    Non è il sole, nonostante l'atmosfera crepuscolare.

    Non è il sole.

    È uno squarcio sull'infinito, il riverbero solare di costellazioni future e passate. STELLE e mondi distanti, vivi e brillanti, immersi in quella medesima quiete che nulla ha a che fare né spartire con la sua conoscenza degli astri e tutto col suo amore per la loro incommensurabile meraviglia, per la poesia dell'eternità.

    Rimane ad ammirare, rapita, quello spettacolo per un tempo che non si sofferma a considerare.
    Una lingua di vento più forte delle altre, forse, oppure un momento di presenza di sé, è ciò che le fa staccare a malincuore lo sguardo da lì - e notare qualcos'altro, nella stanza.
    L'aveva intravisto, all'inizio, all'angolo dello sguardo. Uno scranno di qualche sorta. Ora vede che è un trono. Nobile, finissimamente decorato anch'esso; qua fanno degna mostra di sé anche metalli pregiati, insieme a tessuti.
    Ora, vede anche qualcos'altro.

    « ... Heisenhart. »

    Non distoglie lo sguardo da lui, nonostante qualcosa le suggerisca di fare altrimenti.
    Non l'aveva fatto la prima volta, non lo farà ora - anche se la sua attenzione, piuttosto che al volto o quanto è coperto dalla cappa, è diretto piuttosto alle sue armi.

    (... Arma?)

    [Narratore]


    ▁▂▅▁
    L'intera esistenza mormora di rimando il nome che lascia le tue labbra.
    Riverbera negli angoli dello spazio infinito.
    Senti le pietre, le onde e le costellazioni rispondere -lusingate- alla tua meraviglia.

    HEISENHART: «Ti avevo lasciato un compito, Figlia di Erden.»

    Le parole del Cavaliere di Ferro squarciano la quiete ed il ritmo della marea. Esse portano con loro il battito ritmato di lame contro scudi, di guanti corazzati contro elmi e cotte di maglia. Sono pesanti. Affilate.

    In questo luogo, la Realtà si mischia con i Concetti che in essa si rappresentano.
    Non è tanto dissimile dall'osservare una Lettera, ma qui ti manca quel trauma esistenziale. La tua anima non è tormentata dall'esperienza che viene forzata attraverso sensi incapaci di afferrarla.
    Così quando il Paladino dal volto celato apre bocca percepisci un frammento infinitesimale della sua vera leggenda.
    Nulla che puoi davvero elaborare.
    Per ora.

    HEISENHART: «Non lo hai adempiuto, eppure ti presenti nuovamente al mio cospetto.»

    Le onde tremano.
    Ma non vi è furia nella brezza che soffia.

    HEISENHART: «Spiegami la ragione di tale arroganza.»

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    « Mi hai lasciato una Cicatrice, in fin di vita, e con innumerevoli domande », ribatte lei, sostenendo la sua esistenza. « Ma non ho dimenticato quel che hai detto. »

    Ogni sua parola porta il suono, il rombo, di una battaglia. Un semplice suo gesto solleva il clangore di armature e il cozzare di metallo.
    (Lo spazio si piega alle parole... no, alle idee?)

    Inspira.

    « Ho ancora intenzione di provarti che l'umanità può e deve lasciarsi alle spalle il suo passato di sangue e macerie... ma per farlo, devo capire di più. Di quel passato, di cosa mi è successo, della Fede e... di questa Cicatrice. »
    riprende, ferma nel tono e nella posa.
    « In verità, non era mia intenzione presentarmi qui. Non avevo idea sarebbe stata questa la destinazione, ciò che cercavo erano risposte a quelle domande. »

    (... Dovrei menzionare Minerva? Ora?)

    Si massaggia il braccio, inconsciamente. Lo stesso dove Raskolnikov ha operato il suo prelievo.

    « ... Ero di fretta e ho corso un rischio. »
    si decide, infine.
    « Là fuori, nel mio mondo, c'è una Minerva. Sembra sapere della mia Cicatrice, e temo possa fare cose terribili pur di averla. Lei o chi la sta usando. »

    [Narratore]


    La brezza diventa artica per un istante. Nel ghiaccio si solleva l'ombra di una risata. Gioiosa, cristallina, nata unicamente per essere udita da una sola persona.
    Una persona che non sei tu.

    Il tepore ritorna.
    Le onde si placano.

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    L'improvvisa ventata di freddo le punge la pelle. Quella, e un suono che sembrava una risata...
    (Per me? O di me?)

    [Narratore]


    HEISENHART: «Ebbene, pensi che ciò sia mia responsabilità? Che io sia con te in debito di risposte, o peggio, aiuto?»

    Senti il FERRO sfregare contro FERRO. Rifiuto. Giusta indignazione.

    -------ERRRorE------------
    -------ERRRorE------------

    Senti il ferro sfregare contro ferro. Rifiuto. Giusta indignazione.

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Scuote il capo.

    « No. Non sono qua per recriminare, ma per capire... »
    replica, cercando di ignorare lo stridìo metallico che si propaga nell'aria.
    « Ho ragione di credere che chi l'ha creata intenda 'allineare' la sua essenza a te. La cosa non ti turba? »

    Lo stridìo è difficile da ignorare, anche se l'intensità sembra calare... all'improvviso.
    (Un riflesso del suo 'umore', immagino...)

    [Narratore]


    Ti sembra.
    La ragione non è innocua. Ne senti la gravità.
    Senti la realtà torcersi.
    Tornare sui binari.
    Rifiutare concetti che non sono coerenti con le idee dominanti.

    Altrettanto, ti sembra che l'entità che hai davanti sia ancora capace di essere turbata?

    HEISENHART: «No.»

    E' una risposta. Secca. Orgogliosa.

    HEISENHART: «Figlia di Erden, i tuoi fratelli e sorelle hanno camminato sulla mia stessa strada per secoli. Potete imitare le gesta che ho compiuto per ciascuno di voi, ma mai arriverete alla stessa destinazione.»

    Senti le pietre piegarsi.
    Gli stivali di Heisenhart tornano a solcare il suolo. Il Cavaliere si alza cammina. Un gesto che per altri può sembrare così semplice, per Lui è solenne e cerimoniale.

    HEISENHART: «Sostieni di voler capire, eppure ho udito la stessa voce sfidare le verità che la mia esistenza dichiara.»
    HEISENHART: «Dimmi, Ibis Douglas.»


    Sbatti le palpebre.
    Attorno a te il mondo tace. Curioso. In attesa.

    HEISENHART: «Quale conoscenza desideri da me? E quale sacrificio sei disposta a offrire?»

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Incrocia le braccia, pensierosa.

    ('Mai arriverete alla stessa destinazione', eh?)
    pondera interiormente, storcendo appena le labbra.
    (E quella arrogante sarei io. Psh.)

    Forse, dal punto di vista di una divinità - o presunta tale - la cosa ha più senso.
    Forse ha una prospettiva che agli umani come lei manca, e può vedere lungo il corso della storia in maniere che agli storici sfuggono.
    (Forse.)

    Scuote lentamente il capo alla sua accusa, di nuovo, in segno di diniego.

    « Ciò che sfido sono le tue conclusioni, Heisenhart. La tua certezza che, se la strada per le stelle è stata spianata a furia di sangue e morte, quello sarà il sentiero che l'umanità è condannata a camminare... »
    esita per un momento, incerta, prima di proseguire.
    « Una certezza che, forse, è meno salda di quanto tu stesso pensi. Mi hai concesso una possibilità di negarla, in fondo. »

    Tace per qualche momento, rendendosi conto della totale immobilità del mondo che la circonda.
    Tutto è sospeso, in attesa di qualcosa...

    « Permettimi una domanda, prima di rispondere alla tua. Perché mi hai concesso quella possibilità? »

    E continua, dopo una breve pausa - sia per riorganizzare i pensieri, sia per ascoltare il mondo.
    C'è qualcosa, agli angoli della sua mente, che formicola... un nodo in gola, la sensazione di stare avvicinandosi a qualcosa...

    « ... Ricordo nitidamente quei momenti, e non rimpiango una parola di quelle che ho detto. Ricordo la tua reazione, anche. »
    dice, mantenendo il tono calmo e serio tenuto fino lì.
    « Non ho potuto vedere il tuo volto, ma la tua voce sembrava... sorpresa. Esitante, forse. O forse c'era... un barlume di speranza, in quelle parole? »

    Solleva lo sguardo su di Lui.

    « È così? O era semplice sorpresa, per un'arrogante figlia di Erden? »

    [Narratore]


    HEISENHART: «Speranza? Sorpresa? No.»

    Gli stivali del Cavaliere si arrestano ad una Lancia e mezza di distanza dal tuo cuore.
    Anche a tale distanza il suo volto continua a sfuggirti, effimero. Sono invece il fragore delle onde sulla riva e il sibilo del vento tra i mattoni ad accompagnare il verbo della divinità.

    Rabbia? Furia? No.

    HEISENHART: «Orgoglio, Figlia di Erden.»
    HEISENHART: «Come può un Padre non essere fiero della propria Figlia che dichiara, con voce sicura, senza timore, che ha trovato la sua strada? Una via diversa. Migliore.»


    Un passo. Un altro.
    I rovi di metallo dorato attorcigliati alla punta nera di ██████, riflettono luce che, qui, è inesistente.

    HEISENHART: «Ho rinunciato al diritto di dirigere il futuro della mia Prole, ma quanti avrebbero il coraggio di rinnegare il mio giudizio? Le mie Verità? Hai conquistato il diritto di dimostrarmi in errore.»

    ---tace sulla posta in gioco della tua dichiarazione.

    HEISENHART: «Ebbene, dovrei essere deluso nel vederti qui al mio cospetto?»

    Oppure sei qui per CONQUISTARE un altro diritto?

    -------ERRR----
    ▁▂▅▁▂▃

    Oppure sei qui per CONQUISTARE un altro diritto?

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Una cavalcata selvaggia di emozioni, nell'arco di una decina di secondi al massimo.

    Prima, la delusione.
    Al suo diniego, la cocente delusione del fallimento e di aver letto quel che lei aveva voluto leggere; l'amarezza di aver frainteso, la vergogna per una malriposta sicurezza di sé.

    Poi, la sorpresa.
    Alla sua spiegazione, completamente inaspettata, i pensieri torvi di istanti prima sono spazzati via senza che nulla prenda il loro posto, se non le sue parole.

    (Orgoglio. Senza timore. Migliore.)

    Un sentimento innominabile, proseguendo. Qualcosa di caldo e... accogliente, in un certo senso.

    Qualcosa di profondamente umano, come tutta quella rivelazione.
    In quel momento, l'aura di divinità abbandona l'entità di fronte a lei e, sotto, sente di intravedere un padre; forse non quello che dice di essere, forse non quello cui lei pensa, ma un padre.
    Un'idea che da sola sprigiona un mondo di emozioni a sua volta. Familiare. Vicina. Umana.
    Alla fine, forse è quella la parola più adatta.

    Infine, c'è un confuso senso di orgoglio misto a gratitudine - aver conquistato l'approvazione del padre, anche quello è un appiglio ad una realtà familiare - ma anche curiosità.
    (Ha rinunciato al diritto di dirigere l'umanità?)

    Si prende qualche secondo di silenzio, di nuovo per rimettere in ordine i pensieri.

    « ... No, certo che no. Anzi, sono... onorata della considerazione. »
    comincia, deglutendo a vuoto in un vano tentativo di scacciare il nodo alla gola.

    « Se ho fatto quella domanda, era per capire alcune cose... dal giorno del nostro primo incontro, ho continuato a ripensare a quanto ci siamo detti, al significato di quella sfida. Avevo pensato, dalle tue reazioni, che una parte di te volesse essere smentita, e che fosse per quello che avessi deciso di darmi una possibilità. »

    fa un piccolo sorriso, leggemente imbarazzato - al contempo, il pensiero di quanto sia surreale quella reazione, così come la situazione in sé, lo mantiene sulle sue labbra.

    « Ora so che non è esattamente così, e ammetto che l'orgoglio non mi aveva nemmeno sfiorato come possibilità, ma... se dici che la mia via è migliore, forse non ho mancato del tutto il bersaglio. »

    Si passa una mano tra i capelli.
    Un semplice gesto, naturale - qualcosa per scaricare la tempesta di emozioni ancora infuriante dentro di lei, e fare strada al pensiero.

    « Cosa volevo capire, quindi... anzitutto, con chi ho a che fare. »
    riprende, ora un poco più calma.
    « Ora so che sei Heisenhart. La prima volta che ci siamo visti, l'ho negato recisamente - credo ora sia stato un errore, e me ne scuso. Sul momento, l'unico Heisenhart che conoscevo era quello di cui ti ho raccontato. »
    incrocia le braccia, decisa.
    « Un Heisenhart che tuttora preferisco, ammetto senza problemi, anche se forse non quello... 'reale'.
    Ma lì sta il punto, io credo. Chi è, davvero, Heisenhart? »


    Una breve pausa, di nuovo per ascoltare il mondo e le sue reazioni.

    « Come ho detto, la mia intenzione è e rimane quella di smentirti.
    Non so ancora come riuscirò a dimostrare il tuo errore, lo confesso... ma credo che la verità della tua esistenza, della tua storia, sia un buon punto di partenza.
    Nel bene o nel male, sento che solo affrontando la realtà potrò avere modo di riuscire nell'intento. »


    La sua sfida, se così vuole chiamarla, è con Lui. Non con i miti tramandati, non le agiografie, non i sermoni edulcorati.
    Null'altro che la Verità può raggiungerlo.

    [Narratore]


    Avevi ancora dei dubbi che Heisenhart fosse umano? Leggende, miti, storia e preghiere. L'unico filo conduttore --e l'unica cosa che non può essere negata è la natura del Paladino. Il motivo per il quale ha afferrato una spada e della sua prima morte.

    Non è forse perché era UMANO?

    -------Errr
    ▁▂▅▁▂█override----

    Non era forse per amore dei suoi fratelli?
    Non era forse perché, un giorno, vi fosse concesso di vedere le Stelle?

    HEISENHART: «Non ammetto che la tua via è migliore, esigo che mi venga dimostrato, Figlia di Erden.»

    Nulla viene generosamente donato.
    Non siete più infanti nella culla.
    Se desideri che una Verità sia tale, non è tramite preghiera o supplica che questa sarà riconosciuta.
    Ma ne hai la possibilità.

    La Lancia scompare dalle sue mani, portando tranquillità con la sua assenza. Ti accorgi solo ora che la sua punta bastava a far tremare di terrore ciò che avevi attorno. Il granito. Le colonne. Ogni granello di sabbia. Sussurri reverenziali ne esaltano la magnanimità.
    Il vento porta con se un nome.

    GAIA.

    Ricorderai questo nome.
    Anatema degli Archetipi. Figlia degli Elementi.

    HEISENHART: «Io sono ciò che di me ne avete fatto.»
    HEISENHART: «Sono nato e ho camminato sullo stesso suolo che avete abbandonato, vivendo come uomo, cercando di dare alla mia esistenza un significato come uomo. Eppure le mie gesta sono diventate leggenda. Poco si curavano preti e sicofanti delle fatiche che abbiamo compiuto in nome del futuro, ciò che bramavano era un'icona.»


    E così l'uomo è diventato Dio.
    Beatificato. Asceso.

    Ricordi le parole di Raskolnikov, che ti suggerivano quanto sarebbe stato futile separare la trinità che compone il Paladino. E qui, lui stesso lo ammette.

    HEISENHART: «Se desideri comprendere chi era ---chi è Heisenhart, dovrai ricordare che un tempo, come te, ha vissuto. Ha odiato. Ha amato. Ha fallito. Ed ha CONQUISTATO

    -------Errr
    ▁▂▅▁▂█override----

    Il vento artico si alza nuovamente.
    Glaciale. Affilato.
    E, per chiunque lo conosce, gentile.

    HEISENHART: «Figlia di Erden, vi furono anni in cui ogni creatura vivente del Continente chinava il capo dinnanzi a me.»
    HEISENHART: «Eppure, il mio Impero è stato consegnato nelle mani dei tuoi fratelli e sorelle. Vi ho ceduto lo scettro. Vi ho ceduto il trono.»


    E cosa avete fatto?
    Lo avete incoronato nuovamente.

    HEISENHART: «Che cosa credi io sia, Ibis Douglas, Figlia di Erden?»

    Di nuovo quella risata.
    Cristallina.
    Senti una mano inesistente sfiorarti la spalla.
    Senti il fruscio della neve appena caduta che giunge alle tue orecchie.

    Guardi Heisenhart.

    Vedi un uomo. Vedi un dio.
    Vedi le ombre di un passato danzare davanti ai tuoi occhi, fiere, adorne di bandiere e corazze. Un maglio brandito nelle paludi della Valle dei Draghi. Una festa, in onore di una cupa vittoria. Una pira spezzata. Un massacro --un genocidio commesso in nome dei più alti ideali.
    Vedi gli occhi ridenti di una Ket'sunn, dei bagagli e un arsenale di sette.
    Vedi il nulla.
    E le grida di gloria di cento pianeti, illuminati dai cuori di miliardi di fedeli.
    Ciascuno cieco.
    Ciascuno ignorante.
    Una catena.
    La radiazione maestosa nel cuore di un drago.
    Una cicatrice nella trama dell'universo.

    Sbatti le palpebre.

    HEISENHART: «E che cosa vuoi che io sia?»

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    (Un'ammissione piena sarebbe stata troppo, sì. Ma...)

    Dà un cenno di assenso col capo, le braccia ancora conserte e il piede destro piantato a terra - una postura che si sorprende ad avere, più ferma e decisa di quanto crede.
    Quanto è lei, e quanto è il momento?
    Importa?

    « Non vorrei altrimenti », e sorride.

    Da lì, le cose diventano arcane.
    Una possibile nuova ragione per il suo piglio emerge dall'osservazione del mondo - quando la Lancia scompare, una lancia che incomprensibilmente ha l'impressione di aver già vis-- no, percepito, è come se quell'angolo di spazio tirasse un sospiro di sollievo. Una vibrazione sfasata si quieta.

    Una voce giunge alle orecchie. Riconosce la stessa voce della risata, si volta di scatto sentendosi toccare la spalla - senza trovare nulla se non la spiaggia assolata e le rovine dell'arrivo.
    Giunge un nome, anche. Un nome e due titoli.

    Gaia, anatema degli Archetipi, figlia degli Elementi.

    Il significato le sfugge, ma un'indistinto senso di importanza imprime quel pensiero nella memoria.

    È un senso simile, ma non sovrapponibile, a quello che ammanta il racconto che Heisenhart fa di sé.
    Risuona, in qualche modo. Risuonano anche le parole di Raskolnikov, che la aveva avvertita - che distinguere tra i vari aspetti della figura sarebbe stata impresa assai ardua, se non impossibile.

    (Ma qualcosa c'è... qualcosa di suo. E immagini...)

    Immagini, anzi visioni, che travolgono i suoi sensi - attivandoli tutti, contemporaneamente, unendo per il momento di una manciata di frammenti il presente col passato, la memoria alla realtà.

    Barcolla e indietreggia, riuscendo per poco a non cadere. Se non avesse tenuto saldo come ha fatto, sarebbe finita a terra.

    (...)

    Non tutto quel che ha visto ha senso. O meglio, un senso che lei riesca ad afferrare. Ma non è sicura che, al momento, la comprensione della storia sia importante come la percezione del loro significato.

    Alla fine di tutto, rimangono due ottime domande. Chi pensa che sia, Heisenhart? E chi vorrebbe che fosse?

    Ora è lei a tirare il fiato.
    Quelle domande sono pesanti cone macigni, e non ha risposte chiare.

    « Io credo... »

    Può solo annaspare in superficie, e cercare di sfiorare il senso profondo del tutto.
    Dovrà accontentarsi.

    « Heisenhart... al di là di tutto, credo sia un essere umano e un guerriero... contemporaneamente. »
    apre, lenta e senza enfasi.
    « Da quanto mi dici, e da quel che ho... che penso di aver visto, due sono gli elementi che ricorrono. »

    Come è solita fare quando riflette a voce alta, costruendo poco per volta il proprio pensiero, procede lungo il ragionamento a passi lenti e ponderati; il tono è calmo, nonostante le brevi pause che lo punteggiano quando cerca una parola o un concetto più adeguato per quel che cerca di dire.

    « Uno è l'umanità. Poni l'accento su quell'aspetto, in una maniera che intende... l'interezza dell'idea. »
    prosegue, contandolo sull'indice.
    « Nato, vissuto, trapassato; l'infinito non ci è dato avere, anche se lo possiamo desiderare. Ma c'è altro, oltre alla finitezza. C'è lo sforzo. »
    un'altra breve pausa, qui per riprendere fiato e per cercare di sondare le visioni.
    « Le maniere in cui ti sei portato, dalla culla alla tomba, e le imprese compiute, nel bene e nel male; c'è la realtà di quel che hai fatto, e quella realtà discorda dalle agiografie.
    Ho visto momenti di ferocia sanguinaria, anche se ne ho percepito le 'ragioni'... o qualcosa che lo facesse sembrare giustificato, tollerabile; ma ho visto anche, oltre alla violenza, scene liete. Una figura in particolare... una non umana, non saprei definirla oltre ad un nome. Colta in un momento di... semplice felicità, vicinanza. »


    Si accarezza il lato del viso, lambendo le tempie.

    « Sono momenti che sfuggono alla opaca perfezione dell'ideale... che, mi sembra di capire, tu disprezzi perché toglie all'umanità della persona.
    Heisenhart, anzitutto, è umano. Finito e fallibile, ma nondimeno indomito lungo il sentiero che ha scelto di percorrere... ossia, aprire la strada verso le stelle per l'umanità. E poi lasciarla libera di scegliere la propria. »


    Guarda in alto, più per istinto che per reale aspettativa di leggere qualcosa nel vuoto oltre la cappa.
    Una reazione umana, per rimanere in tema.

    « Poi, c'è il guerriero. Non penso di dover spiegare troppo, qui... Heisenhart è sempre raffigurato come un guerriero, e tu stesso ti sei presentato in quella veste quando ci siamo visti la prima volta... »
    aggrotta la fronte, addentrandosi in un nuovo pensiero.
    « Anche se, allora, più di ogni altra cosa ho visto una violenza cieca e insensata. Ora è diverso... alcuni tuoi gesti sollevano ancora immagini, suoni, suggestioni della guerra. Ma non c'è sangue, non c'è una mischia, non c'è nemmeno il vetro rosso... »

    No, c'è una spiaggia assolata e pacifica, tinta dalle luci di infiniti soli e tratteggiata dalle rovine di tempi passati.
    (È molto meglio così, ma... a cosa si deve questo cambiamento?)

    « Questo, se posso azzardare un'ipotesi... questo sembra il crocevia tra una serie di concetti che, in un modo o nell'altro, ti accompagnano. »

    Solleva una mano, a indicare il trono e le rovine. « La guerra... »
    Fa un gesto ampio, a indicare la quiete della spiaggia e del cielo. « La pace... »
    E lo termina sollevando mano e volto al cielo. « Le stelle. »

    Rimane in silenzio, per qualche momento.
    Ha pensato a voce alta, di nuovo - anche se non è certa, ora, di cosa significasse il tutto, o se avesse davvero un significato.

    « ... Tornando al punto. Guerriero, dicevo... hai combattuto, senza quartiere, per quel che hai ritenuto giusto, spianare la strada verso le stelle per i tuoi fratelli e sorelle umani.
    Forse non sempre con successo, se dici che l'uomo Heisenhart ha fallito, oppure perché ha ecceduto nella ferocia, o comunque ha avuto dei rimpianti; ma, alla fine, ha trionfato. »

    annuisce, tra sé e sé - una verità evidente, quella.
    « Guerriero... per conto di ideali che l'umano ha portato avanti, in vita, e altri che gli sono stati attribuiti in seguito. Forse traendo da esempi reali, forse leggendo più di quanto realmente ci fosse... o in meno, se dici che dell'uomo è stata fatta icona. Quel che è certo è che ha combattuto, fino allo stremo, è che quello sforzo sia di primaria importanza. »
    un'ultima pausa, presa per tentare di fare una sintesi del concetto.
    « Lo sforzo, più che la forza in sé. La tensione verso l'ideale, più che la cruda realtà della guerra... »

    [Narratore]


    HEISENHART: «La violenza che hai visto non è mai stata cieca ne priva di senso ---sono i secoli che ti hanno resa miope e incapace di comprenderne la grave necessità. Eppure cadi in errore, almeno in parte.»

    Solleva una mano per abbracciare l'intero creato. Al Paladino non serve indicare, no. Le stelle brillano, le pietre tremolano e le onde si infrangono con fragore.

    HEISENHART: «Guerra, Pace e Stelle seguono te, Figlia di Erden.»
    HEISENHART: «Sebbene sollevai spada e lancia per portare morte agli anatemi dell'Uomo, la mia fu una liberazione ed un massacro. Una Conquista. Una volta spezzata la schiena del nemico, quale interesse avrei potuto avere per gli affari di una nazione? Ed ancora, scelsi di abbandonare il mio grande amico alle Stelle poiché il mio destino si sarebbe compiuto su Erden.»

    Pace.
    Guerra.
    Stelle.

    Sei stata tu ad alzare la coppa al cielo. Tu a consumare il nettare del nulla.
    Questi concetti consumano il tuo mondo interiore, ora.

    Due incisi da Aelann.
    Uno stretto al cuore per tua pura volontà.
    Eppure nessuno è così schiacciante come ciò che rappresenta Heisenhart.

    UMANITA' e CONQUISTA.

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    ▁▁▂

    HEISENHART: «Eppure sei più vicina alla verità. Hai squarciato per qualche momento il velo del divino.»

    Cala il silenzio.

    E' possibile che tu abbia commesso errori e imprecisioni nel descrivere il Cavaliere, eppure non lo hai fatto con il cuore timoroso e fanatico dei chierici. Non hai tessuto una leggenda comoda.
    Il Paladino rimane muto.
    In attesa.
    Da te si aspetta un'ulteriore risposta.

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Incassa in silenzio l'accusa di miopia, per vero mossa come una semplice constatazione che un rimprovero.

    Anche se è certa di quel che ha visto, e quel che ha visto era una forsennata carneficina tra eguali checché ne dica, è un'accusa con un fondamento di verità - non può negare che non conosca cosa sia davvero successo millenni addietro, e pensandoci, dubita che ci sia qualcuno in vita che lo sappia.
    (Si è perso quasi tutto...)

    Lo sguardo si perde oltre l'imponente figura di Heisenhart e si posa sui relitti affioranti dalla rena, illuminati dai soli.
    (Forse dovrei provare a scavare... non ora, però. Ma quando, altrimen...)

    Le vibrazioni nella pietra, i riverberi prismatici della luce stellare sui suoi rilievi, e uno schianto di onde la richiamano alla parola dell'entità.
    Quanto dice, la lascia preda dello sconcerto.

    « ... Me? »

    Di nuovo, un'ipotesi completamente aliena ai suoi pensieri; stavolta, unita al senso di ineffabilità che avvolge tutto quello e lo scoramento per la chiara percezione del proprio annaspare, c'è anche... le parole continuano a sfuggirle.
    Un calore nel petto, una scintilla... un vago senso di vertigine, una leggerezza della mente.

    (... La spada ha segnato i due opposti, io... io...)

    Forse, forse, riesce a trovare un appiglio nell'inconoscibile.
    Per logica? Per volontà? Mistero. Ma, se Heisenhart stesso riconosce quel che sta facendo, che è riuscita ad afferrare la sua essenza, forse...

    Socchiude gli occhi, inspira a fondo, espira.

    Occorre calmarsi, ora, e ragionare... nonostante la sua anima continui ad agitarsi in ogni direzione.

    (Ho ancora una risposta da dare... ho la netta impressione che sarà ancora più difficile della prima.)

    Lo guarda, nella totalità della sua forma.

    (Cosa vorrei che fossi?)

    « Io... »
    si porta una mano alla bocca
    « Io disprezzo la violenza, la guerra, la rabbiosa volontà di sopravvivere. »

    Una citazione diretta da Heisenhart stesso, anche se allora pensava fosse un impostore.

    « Quando ci siamo incontrati per la prima volta, quando mi hai trascinata nel Sogno, quello è tutto ciò che ho visto. E l'ho rifiutato con tutta me stessa. »
    scuote piano la testa.
    « Il sangue chiama sangue. La violenza chiama violenza. E ad ogni chiamata, la furia aumenta, come un incendio che finisce per divorare tutto... mondi interi, anche. »
    inclina il capo, sotto il peso di immagini fin troppo reali - che può solo desiderare fossero incubi.
    « Questo è quel che ho visto con i miei occhi, da... guerriera, sì. Pessima e con la speranza di finirla il prima possibile, quella guerra, ma... »

    Un'ammissione sofferta. Glielo si legge in volto, dallo sguardo basso all'espressione combattuta, e nel tono accorato.

    « ... Non saprei dire se credessi davvero, al tempo, alla forza come strumento per difendere deboli e oppressi, come strumento di pace. È qualcosa che afferma il tuo culto, nel mio mondo. »
    spiega, considerando solo dopo averlo detto che probabilmente ne è consapevole, dato il suo disprezzo per i chierici.
    « È un'idea... romantica, forse. Nobile. La capisco, fino ad un certo punto... riconosco, a malincuore, che talvolta la forza può servire per prevenire ingiustizie... ma ho visto anche quanto facile sia distorcere un'idea nobile in una giustificazione per crimini efferati. »

    Tira un profondo sospiro, tace per qualche secondo, e riprende.

    « L'Heisenhart che conoscevo era raffigurato come un campione di questo tipo di forza, un eroe impavido e indefesso unicamente devoto al bene dei suoi fratelli e sorelle.
    Questo, mi dici, è una facile mistificazione della realtà, e ci credo. Ho avuto modo di intravederlo, anche se solo in una manciata di istanti.
    Tuttavia... »


    « Ho intravisto anche dell'altro. La tua conquista... non è stata vinta solo con la forza, vero? »
    torna ad alzare lo sguardo verso la cappa.
    « Non so cosa siano quegli Anatemi dell'umanità che dici, ma so che ogni guerra lascia dietro di sé macerie e rovine. Ferite aperte, nei vincitori e a maggior ragione nei vinti.
    Ma tu parli di liberazione, e le storie narrano di come avessi unito un impero. Queste non sono cose che si ottengono solo con la forza, o almeno non in maniera tale che durino tanto da originare miti e leggende, io credo. Ci vuole giustizia, misericordia, equanimità. La capacità di unire.

    ... Quindi, se mi è concesso di dire come vorrei che fossi... vorrei che l'aspetto prevalente di te non fosse Heisenhart il Conquistatore, ma Heisenhart il Liberatore. »



    [Narratore]


    HEISENHART: «E chi ha stabilito che la forza fosse solo quella del braccio che stringe una spada? Tu? Pavidi regnanti? Non certo io.»

    Risponde immediatamente, con voce tonante di padre e maestro. Nel moto di stelle e onde ne leggi la rovente indignazione ---non contro di te, ma contro tutto quello che le parole pronunciate rappresentano.

    HEISENHART: «Non ci vuole forse forza per imbrigliare ira e dolore, per non calare il pugno sul fratello che ha commesso un torto? Non ci vuole forza per arginare avidità e gola, per non ghermire ciò che non meritiamo?»

    Si interrompe. Per qualche secondo le domande aleggiano nell'aria.
    Profumano di legno appena arso. Di una sinfonia imperiale perduta, dell'onesta accoglienza di una corte che abbraccia un intero continente.

    HEISENHART: «Forte non è chi sa piegare intere armate, Figlia di Erden, ma colui che è in grado di agire con cuore d'acciaio per ciò che reputa giusto.»

    La marea si infrange.
    Si placa.
    Si ritira.

    HEISENHART: «Se desideri la PACE dovrai combattere per averla --che sia con lancia e scudo, oppure mostrando lo splendore del tuo ideale. Andando oltre ciò che l'uomo mediocre si arroga appena di sognare.»

    Quella del Paladino non è una condanna.
    E' incoraggiamento.
    Su una scala di magnitudine tutta sua.

    Heisenhart balza indietro, facendo impallidire la grazia aliena che Minerva ha dimostrato. La velocità ultraterrena della ragazza è sorpassata dal potere solenne del Cavaliere di Ferro ---l'aria si separa per lasciarlo passare, la gravità si prostra e ne asseconda l'ascesa.

    Il volto di un dio, qualunque sia la vera definizione del termine, è qualcosa su cui non ti è concesso posare lo sguardo. Quando il cappuccio scivola sulle sue spalle l'unica cosa che i tuoi occhi comprendono è ---una lunga chioma di color dell'acciaio e dell'argento. Una danza di ciocche ferree.
    La prima cosa a toccare il suolo è l'asta di GAIA.
    I rovi dorati che decorano la Lancia nera brillano. Riflettono gli astri. Respirano assieme agli elementi.

    HEISENHART: «Ma per farlo non puoi cadere per mano di una mia -copia. Minerva. Quale arroganza.»

    Una colonna accanto a lui cessa di esistere.
    Annichilita.

    HEISENHART: «Ho intenzione di ricompensare il tuo azzardo. Combatti

    Se il Cavaliere fosse un tuo nemico--
    ---no, se questa frase fosse stata pronunciata nel vostro incontro precedente, avresti potuto dubitare dei suoi motivi.

    Non qui.
    Non ora.

    Se ti interessa ancora, se il dibattito teologico non ha messo in crisi la tua capacità di raziocinio, potresti dedurre che Heisenhart non avrebbe mai potuto darti informazioni su Minerva. Non dopo che ha lasciato l'umanità a governare se stessa. C'è una cosa che può fare.
    Se effettivamente Minerva è un tentativo per emulare il divino--
    ----può offrirti uno sguardo all'originale.

    Tra le mani stringi una spada. Ordinaria. Anonima. Proprio come Ibis Douglas.
    E proprio come Ibis Douglas, il suo potenziale è enorme.


    Se desideri utilizzare una tecnica che non ti appartiene---
    ---puoi.
    Qui non ci sono regole.
    Non ci sono limiti.

    Qui, ovunque tu sia, l'unica cosa che importa è ciò che desideri sia importante.


    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    « ... Nngh. »

    Per quanto la sua risposta non fosse intesa come un rimprovero, tra il rombo degli elementi e il sentore di aver sbagliato mira, fatica a scrollarsi di dosso l'impressione che lo fosse.
    E dire che si trova perlopiù d'accordo con la sua tesi - annuisce, addirittura, salvo una stretta dello sguardo all'ultimo.

    (Forte è chi agisce con 'cuore d'acciaio' per quello in cui crede...? Abbastanza sicura di averla già sentita, questa.)
    storce le labbra, al pensiero di troppa propaganda motivazionale.
    (Non lo dirà in quel senso, magari... ma è davvero troppo facile fare gravi torti, così. Serve una definizione diversa.)

    Esita per qualche istante, prima di annuire di nuovo.
    In un modo o nell'altro, dovrà fare uso della forza per raggiungere la pace - contro Minerva, con ogni probabilità, e forse altri dopo di lei, sperando che non debbano essercene.

    (... 'Combatti', dice... )
    e mentre un momento simile riaffiora dalle memorie, una semplice e disadorna spada compare tra le sue mani.

    Lo ha ammesso lei stessa, che tragicamente esistono momenti in cui solo la forza nella sua accezione peggiore può prevenire ingiustizie peggiori.

    (...)
    il suo primo istinto è di gettarla a terra, rifiutarla come già aveva fatto; è una spinta forte, quasi connaturata, ed è quando ha già l'elsa contro il petto e la punta della lama rivolta al cielo, in procinto di aprire il pugno e scagliarla via che si ferma.

    Ciò che può fare, è dimostrare forza d'altro genere.

    (No. Stavolta si combatte...)

    -
    --
    ---
    Un'arma. Una tecnica. Qualcosa, qualunque cosa - basta solo volerla.
    Un'infinità di opzioni, in quell'attimo sospeso, si stende davanti a lei.
    Ansia, incertezza, dubbi - si palesano, agli angoli della mente, ma una scelta è presto fatta.

    Una macchina, figlia dell'ingegno e della speranza umana, frutto di uno sforzo unitario tra stirpi e nazioni. Una creatura di luce, acciaio e intelletto, forgiata per aprire all'umanità nuove strade verso le STELLE. Un simbolo di PACE e progresso oltraggiato dalla GUERRA, in cerca di redenzione.

    (... a modo mio.)
    e lancia l'arma verso l'alto.
    ---
    --
    -

    Qualcosa vibra.
    È la spada. Dopo un breve volo si è fermata a mezz'aria e punta il Paladino, come l'ago di una bussola.

    Brilla.
    È una luce calda, solare, cangiante. Rossa, arancione, dorata, bianca, blu... la percorre per l'intera superficie, e tinge lo spazio che la circonda.

    Sfolgora.
    Luce astrale, sempre più intensa, inonda l'oltremondo - come se le stelle stesse si stessero avvicinando per osservare, attratte da una forza inesorabile.
    E poi, una vampa.

    ESISTE.
    Un lampo accecante, inteso come nient'altro nella totalità del creato, seguito da ruggiti gemelli.
    È qui. La colomba divenuta falco spiega di nuovo le ali.

    « AVANTI, CALION! »

    Una saetta iridescente fende l'aria immobile, lunghe scie luminose dietro di sé, con forza e velocità incommensurabili.
    Così come per il Paladino, terra e cielo si piegano al suo volere - ma laddove Egli riesce per la soverchiante presenza della sua divinità, la macchina riesce imbrigliandone le forze e congiungendole.

    Tra terra e cielo,
    tra gravità e vuoto,
    tra PACE e GUERRA,
    danza il Calion.

    Così è, quando una seconda vampa di luce strabiliante ne ingolfa la sagoma e un'onda incandescente avvolge il fronte della fusoliera; getti di particelle l'accompagnano, schiocchi secchi nell'aria, proiettati verso la mano che regge GAIA per forzarla ad allentare la presa...
    ... in vista dell'imminente collisione, di potenza meteorica, cercata con l'intera propria massa e la totalità delle gravità giostrate, per uno scopo ben preciso:

    disarmare la divinità, strappandole la lancia e trascinandola oltre la sua portata, stretta tra le turbine gemelle.

    Non è il più efficiente dei vettori di attacco, obietterebbe un guerriero. Ma Ibis Douglas non è un guerriero, né vuole esserlo.
    Il suo intento è impedire lo spargimento di sangue, non prendervi parte.

    [Narratore]


    Il tempo si arresta.
    Un tintinnio di catene, flebile, sommesso, giunge alle tue orecchie. Ignaro del rumore della battaglia.
    Contro la divinità scagli un frammento di te. Un sogno. Una degna conclusione della tua esistenza.
    Qualcosa di concettualmente legato a come questo mondo si manifesta.
    Concettualmente legato a te.

    ▂▃▂▆▅▇██▇▆▇▅▂▅▂▅█▅▃▅▂▁

    Eppure, anche così, hai un abisso da colmare.
    Millenni di preghiere. Millenni di fanatica venerazione.
    Una leggenda. Due Crociate.
    Ed una cicatrice pulsante nel cuore di Erden.

    ▁▂▅▁▂█▅▁▁

    Come il Calion proietta la sua furia meccanica e cinetica contro il Paladino, Heisenhart rotea GAIA. Ti perdi nella danza ipnotica della punta affilata. Il suo braccio pare in grado di tracciare una manciata di traiettorie diverse nello stesso medesimo istante. Dire che il tuo attacco non ha effetto è riduttivo.
    Non arriva a sfiorare ne il braccio, ne l'asta.
    [Frammenti di metallo e polimero esplodono verso l'esterno. A tratti è il Calion. A tratti una spada senza nome.

    ▁▁▁


    Eppure ti ritrovi nuovamente a stringerne l'impugnatura.
    Te ne accorgi in tempo per sentire il terreno che trema.
    Le pietre si fratturano. Vibrano. In preda al terrore.

    Una brezza artica proietta il Cavaliere verso di te.
    Sbatti le palpebre e la punta di lancia ti ha trapassato il cuore.
    Quando la ritira vedi sangue sgorgare a fiotti; sfugge al tuo corpo con una fretta innaturale.
    Poi si incendia.
    E----

    -----ed è come se non fosse accaduto nulla. Non soffri. Non hai sofferto. E lo squarcio sul petto si comporta come se non fosse mai esistito. Tutto quello che resta è la lezione sulle differenze tra te ed Heisenhart. Mentre la sua mano guantata dall'acciaio fuma appena, tu sei morta. Per quanto ti sia possibile morire in questo luogo.
    La differenza, Ibis, è che lui non ha esitato.

    Eppure, il Paladino non sembra intenzionato a redarguirti.

    No.
    Solleva una spada.
    ██████ è stata forgiata in ferro. Forse incantata, forse benedetta. Forse, è nata così. Ha preso il posto della meravigliosa GAIA, ma è priva della sua eleganza, senza un filo o lucentezza.

    La schianta contro il tuo fianco, muovendo appena il polso.
    Le tue ossa si polverizzano.
    Voli contro una colonna.
    La colonna cessa di esistere.

    Di nuovo, le tue ferite scompaiono come se non fossero mai esistite.

    HEISENHART: «Cosa farai, Figlia di Erden, quando l'unica via per sopravvivere richiederà abbandonare i tuoi ideali? Ti abbandonerai a pragmatica ipocrisia? O diventerai una martire?»

    E' una domanda genuina a cui ti concede di rispondere, per quanto possano valere le parole. Giuramenti e voti valgono solamente nel momento in cui vengono davvero messi alla prova.
    Il Paladino, lo vedi, è ora avvolto da catene.
    No, errore. Dalla Catena.

    GEAS.

    Nome che è stato tramandato nei secoli e che, anche ora, è sinonimo di giuramento nella sua più alta magnitudine. Un voto infrangibile, in cui l'unico pegno possibile è la propria vita.

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Aspettarsi un successo, di qualche sorta, probabilmente sarebbe stato arrogante da parte sua. Eccessivamente ottimistico, come minimo. Però ci ha creduto... o almeno, ha creduto nella sua creazione.

    È per questo che vederla abbattuta così, senza il benché minimo sforzo, la ferisce più a fondo dei colpi del Paladino. Un abbattimento così non le è nuovo, anzi - ma una negazione del genere è devastante.
    I castighi spezzano il corpo e riempiono gli occhi di orrore, ma è lo spirito a risentirne di più.

    « ... Nngh... »

    Stramazzata a terra, fatica a richiamare le energie per rialzarsi. Le ferite letali appena riportate non sono mai state inferte, ma la mente fatica a stare dietro ad una realtà che si piega docilmente ai voleri.
    Guarda verso l'alto, l'imponente figura della divinità ora avvolta da una catena.

    (GEAS), intuisce attingendo a conoscenze mai avute. (Emblema di giuramenti solenni...)

    La domanda inespressa, immagina, è se sia disposta a votarsi al martirio.
    È un'ottima domanda. Se l'è posta più volte, in tempi recent come in passato, ma non ha mai trovato una vera risposta.

    Forse è la nozione di martirio, o la natura di quei termini, a sfuggirle - ad essere troppo astratti, difficili da afferrare appieno.

    « ... Mi sono schiantata più volte di quante ricordi, durante la Guerra... conta, come martirio? »
    domanda a sua volta, e non retoricamente.
    « Io non lo so... non ho mai fatto giuramenti. Ho volato e sono stata caduta, più e più volte... ho continuato a volare, per cercare di finire quella maledetta Guerra il prima possibile. Agli inizi, almeno... non so se ci credessi più davvero, col passare del tempo... »

    Si scrolla la sabbia dal dorso della mano, e con lo stesso se la leva dalla bocca.

    « ... Non voglio giurare senza sapere cosa significhi, cosa sto facendo. Se sono degna di giurare, anche. »
    scuote appena il capo, scoraggiata.
    « Sarebbe piuttosto patetico fare grandi voti, per una che può contare le sue vittorie sulle dita di una mano... »

    « ... Che giuramento hai fatto, tu? Quando hai capito di volerlo fare? »
    domanda, dopo una breve esitazione.

    (... Non può andare molto peggio di così. Tanto vale chiedere, magari capirò qualcosa... )
    Spera che l'Umanità del Paladino si estenda anche ai dubbi e alle incertezze che piagano tutti loro... e soprattutto lei.


    [Narratore]


    HEISENHART: «E' patetico credere che servano grandi voti per seguire un ideale -oltre l'effimera durata di una vita. Che tu debba chiedere se sei degna, lo è due volte. Sei una Figlia di Erden.»

    Per Heisenhart l'ultima frase è una spiegazione. Un dogma, un dato di fatto.
    Non vi è nulla per il quale un essere umano debba chiedere permesso, qualora sia abbastanza forte. Nulla che gli sia impedito CONQUISTARE se le sue gambe riusciranno a condurlo fino al traguardo.

    HEISENHART: «L'unico vero voto che ho compiuto è stato urlato al firmamento, in ginocchio davanti alle ceneri di ciò che ci è stato tolto per sempre. Questo---»

    GEAS si agita. Fiera. Felice.

    L'acciaio meteorico sussurra una melodia cristallina, composta del sommesso mormorio delle stelle e del battito ritmato di una forgia che mai più tornerà a respirare.

    HEISENHART: «---è un patto di amicizia. Tra Heisenhart e Gáil Mor, tra uomo e draghi. Una delle verità che avete dimenticato.»

    Ti fissa. Senti -non vedi- il suo sguardo su di te.

    HEISENHART: «Tutto questo è irrilevante. L'unico voto che conta è quello che facciamo a noi stessi, Figlia di Erden. Se hai la volontà di diventare campione di una causa, di un ideale, di qualcuno--»
    HEISENHART: «----tutto ciò che conta è essere abbastanza forti da rimanere sul cammino, sia tu minacciata da moneta o dalla lama del nemico.»


    Desideri la PACE?
    Cosa sei disposta a fare per averla?
    Volare finché non ne raggiungerai una? Smembrata e moribonda come quella che lega Erden e le sue vecchie colonie?
    Oppure ti reputi forte abbastanza da fare di meglio? Abbastanza da provare ad Heisenhart che non serve il sangue per raggiungere il futuro?

    HEISENHART: «Non è me che deludi ricadendo nella debolezza e nel dubbio.»

    Solo te stessa.

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    ('Quello che facciamo a noi stessi'...)

    È una cosa curiosa.
    Da una parte, una lunga e imbarazzante - spesso deprimente - serie di errori, fallimenti, cadute.
    Dall'altra, una altrettanto lunga di faticoso e testardo rialzarsi dopo ognuna. Lunga e, di recente, addirittura coronata da qualche successo.

    Come si chiama, questo?
    (Perché mi faccio questo?)

    È una domanda, come tante altre, cui non hai mai dato una risposta - non a parole, quantomeno. I fatti hanno parlato per lei. Dopo le convalescenze, dopo le riparazioni, era sempre tornata a fare la sua parte, qualunque essa fosse.
    (Perché?)

    Se avesse dato retta più di quanto già facesse agli altri, si sarebbe fermata molto prima. Avrebbe rinunciato e si sarebbe risparmiata tante sofferenze, fisiche e spirituali, tanti orrori impressi impietosamente nella memoria e tante angosce sempre pronte a riaffiorare.
    E invece ha continuato, nonostante tutto e non senza pagare ulteriore pegno.
    (Ho provato e provato... così tante volte mi ha detto e mi sono detta di arrendermi, ma... non potevo.)

    Perché non poteva?
    Priscilla era lì, in fondo. Era lei l'asso, l'astro nascente, capace di eclissare ufficiali militari agli inizi e induriti veterani verso la fine - figuriamoci un'incapace come lei, insicura ed esitante sul campo e soltanto adeguata nelle simulazioni. Se c'era qualcuno capace di fare onore al Progetto, era lei.
    E il capo, Takakura, era d'accordo. Non che glielo avesse mai detto in faccia, ma... era evidente. Tutti lo sapevano.
    Quel petto medagliato, da far invidia a comandanti di carriera, parlava da solo. Il suo Calion avrebbe avuto una striscia nera in più sui canard, tanti gli abbattimenti compiuti, non fosse stata per la risoluta opposizione di Filio.
    ( ... Filio ... )

    A differenza della sorella minore, completamente a suo agio in quel ruolo di eroe della Federazione, lui se ne è sempre vergognato. Il luminare era entrato in quella Guerra sì a malincuore, ma con i migliori ideali--
    --ideali fatti a pezzi da una realtà cinica e brutale, e pronta a rivelare risvolti sempre peggiori della natura umana. Compresa la propria.

    Non si era mai perdonato l'aver sviluppato veri sistemi d'arma per la sua creatura prediletta, araldo di pace e prosperità. Averlo fatto per una gamma di mech devoti unicamente alla guerra, senza possibilità di appello... quello è stato devastante, nel tempo.
    Il contrasto era lampante, tra i giorni prima della loro partecipazione al conflitto e gli anni successivi. Uno spettro sbiadito, piagato da rimorsi e condannato a camminare il sentiero che lui stesso aveva tracciato, per sé e per loro, in spregio a quegli ideali alati.

    Ideali che, tuttavia, non ha mai rinnegato. Seppur conscio, intimamente conscio, della gravità dell'errore commesso e del peso sulla coscienza, aveva continuato a sperare in un epilogo migliore; e progettare un riscatto futuro, per un'umanità al risveglio dalla sbornia di violenza perpetrata.

    Ammirava quella risolutezza. La invidiava, anche, sapendo che non sarebbe mai riuscita a portare un peso come il suo sul cuore. E ci credeva, profondamente, così come lui credeva in quella possibilità di redenzione e in quella promessa originaria di spalancare per tutti le porte verso le stelle.
    ( ... Lui non si era mai arreso. Non potevo farlo io. Costasse quel che costasse, avremmo solcato l'Oceano di Stelle, liberi e in pace.)

    Il suo era un sogno infantile, privo dell'ambizione e dello scopo di una mente capace di imbrigliare le invisibili costanti universali - ma uno profondamente sentito e che, come lui, non aveva mai rinnegato.

    Forse era per quello che le è stato così vicino.
    Forse, la capiva più di quanto immaginasse all'epoca e vedeva un po' di sé in lei.
    O forse gli serviva una spalla su cui piangere, nei giorni più bui.

    Sono passati anni, da allora. Un anno intero e rotti dal loro ultimo contatto, il giorno prima della partenza.
    Un anno buio, come quelli della Guerra, vissuto tra ansie e timori, privata oltretutto di quell'ancora che potevano essere lui o i suoi compagni del Progetto.
    ( ... Guardando indietro, forse non è andata così male. )

    Per quanto buio, quell'anno è stato punteggiato da rari momenti di successo - sofferti e duramente combattuti, talvolta fino allo stremo, ma vittorie nondimeno. Anzi, a maggior ragione vittorie.
    (Anche da sola, non mi sono arresa...)

    Non si è arresa, ha rischiato più e più volte la vita, ha combattuto ed è riuscita a strappare qualcosa che può ammettere a sé stessa essere una vittoria.
    (Quindi...)

    Perché si fa questo, quindi?
    Riavvolgendo quel nastro, qualcosa si è fatto più chiaro - per tenere fede ad un voto, fatto a sé stessa fin dall'infanzia e rifinito col tempo e con l'esperienza, negativa e positiva che sia.

    Come si chiama questo, quindi? È forse quel che Heisenhart chiama--
    ( ... Non facciamoci prendere la mano, ora. )

    Pianta le mani a terra e vi fa leva per rialzarsi. Un ginocchio contro la sabbia, una spinta, e si rialza.

    « ... Hai ragione. »
    annuisce, ricambiando lo sguardo.
    « Non mi sono mai fermata prima d'ora. Sono caduta, più volte di quante possa contare. Ho sanguinato. Ho pianto. Ma mi sono rialzata, ho ripreso a camminare, e continuerò a farlo, dopo ogni caduta. Non importa quanto sangue, sudore e lacrime dovrò versare. »
    si passa la mano sulla giacca, per liberarsi della sabbia, lo stemma del Progetto; lì la posa, e stringe.
    « L'ho promesso a me stessa, ai miei compagni... e a te. Costi quel che costi, noi solcheremo liberi e in pace l'Oceano di Stelle. »

    Sorride.
    È un sorriso strano. Sulle labbra sottili e negli occhi lucenti si legge speranza, determinazione, incredulità, forse anche ingenuità. Ma non vacilla, nemmeno per un momento.

    « Vedrai. »

    [Narratore]


    Heisenhart non commenta. Lascia che il momento si protragga nel tempo --immobile, quieto. Lo fa perché le parole rimangano impresse. Non nella sua memoria, ma nella tua, l'unica che ha davvero bisogno di sentirle pronunciate.
    Poi alza con delicatezza AELANN.

    La punta sfiora appena la tua spalla destra e poi la sinistra.
    Per il dio, l'uomo e l'imperatore, questa non è altro che l'unica forma che una benedizione possa assumere.

    HEISENHART: «E dunque così sia.»

    Non vi è alcuna epifania, nessuna altra luce incandescente né acciaio vibrante che ti trafigge il cuore. Ci sei solo tu, immersa in una realtà che i tuoi desideri ed opere hanno costruito. Al cospetto di una divinità che è nata anatema di se stessa, incarnando tutti i valori dell'effimera esistenza che ti è stata generosamente donata.

    Sei nata in un'epoca differente. Dove i draghi non sussurrano più parole sagge nelle orecchie dei regnanti e dove intere razze ancora condividono cultura e pianeta con gli esseri umani. Eppure non molto altro ti distingue dal Paladino.
    Solo la sua irriducibile volontà ha fatto Heisenhart il Cavaliere.

    HEISENHART: «Ascolta il mio comando e obbedisci. Con cuore d'acciaio, con sangue immobile. Vai e CONQUISTA.»

    Le parole suonano errate. Ne comprendi il significato che vogliono trasmettere, ma le sillabe che lasciano la bocca del cavaliere sono arcaiche e complesse. E' comprensibile. Saranno almeno duemila anni che nessuno le sente pronunciare.

    ------------------------
    --------------
    -------------------------------
    -----------th-hump.

    Il tuo cuore torna a battere.
    O, per essere più corretti, il tuo cuore continua a battere.
    Sei di nuovo nel sancta sanctorum di Raskolnikov e reggi ancora la coppa con mani tremanti.

    i Co lor i SOno er r A ti

    E' passato un singolo istante.
    La più piccola unità di tempo che l'universo può percepire.

    Gli spettatori del rituale, tutti dotati di una certa attitudine al magico e sovrannaturale, possono sentire la Magia urlare in preda all'agonia. Incantesimi si sono spezzati--
    --no.
    Incantesimi hanno smesso di esistere come se non fossero mai stati creati.
    Glifi d'allarme sono in preda al panico. Ignorano cosa è successo.

    dOve SoNO l e s t E LL e?

    La tua psiche non è messa molto meglio Ibis dopo che hai posto domande riguardanti costanti fondamentali della realtà. Hai sfiorato il divino, hai voluto conversare con il divino, per carpirne i segreti e scioglierne gli enigmi che lo compongono.

    Stai----
    ----bene.
    Proprio come un condannato a morte.

    Mentre la patina viola, indaco e scarlatta scivola via dal tuo campo visivo riesci a ghermire un certo senso di normalità. La Realtà ti sembra ancora piccola, insignificante, priva di senso. Ma è una sensazione che piano piano ti sta lasciando.
    Quello che non ti abbandona è il ticchettio di un orologio che hai appena caricato.
    Un vuoto abissale dove si trovava la bocca del tuo stomaco.
    La realizzazione di aver fatto un passo verso una destinazione dalla quale non potrai allontanarti.

    --------

    IBIS DOUGLAS non può ridurre Stress, non può limitare l'accumulo di Stress, ne liberarsi di Rotture fino a che opportune condizioni non saranno soddisfatte.

    --------

    <b>RASKOLNIKOV: «Oh.»

    E non sembri la sola ad aver capito che qualcosa di definitivo è stato compiuto in questa stanza.

    Il professore ha perso il dono della parola. Gli assistenti osano muoversi.
    La cicatrice irradia accogliente tepore nel tuo petto.

    Eskil... può vedere in te una vaga ombra di ciò che ha visto in Minerva.
     
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    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Fissa la coppa, confusa.
    È, pressappoco, l'espressione di inquisitiva incertezza di chi ha appena gustato qualcosa di leggermente fuori posto e fatica a descrivere in parole quel vago senso di errore. I riflessi multicolore nei suoi occhi, che tingono il mondo in una cacofonia cromatica, contribuiscono al suo disorientamento.

    Sarà passato solo un istante, ma la mente fatica a riconciliare la reale lunghezza e intensità di quell'istante con il tempo che devono aver percepito tutti gli altri. Quanto, però?
    E perché ha la sensazione che stia scorrendo ad un ritmo anomalo?

    Si guarda attorno, si tocca la spalla sinistra liberando una mano dalla coppa.
    Heisenhart e il suo - di lei, davvero? - regno sono svaniti nell'etere, ma il calore del tocco premuto sulle sue spalle rimane. Lo stesso che sente sul proprio petto.
    (Vai e CONQUISTA...)

    Poco alla volta, riesce ad afferrare con una qualche certezza la linea di demarcazione tra i due mondi e rendersi conto di essere pienamente tornata alla sua realtà - nei sotterranei del professore, circondata da glifi luminosi e assistenti inquietanti, ed Eskil.
    (Grazie, Eskil.)

    Ora che ci può fare caso, i presenti sembrano piuttosto allarmati. I simboli magici, per quel niente che ne capisce, sembrano brillare in maniera insolita.

    « Ahem. Sono tornata. »
    annuncia, con un colpetto di tosse.
    « È stata... un'esperienza, ma sono qui e sono viva. Qualcosa non va? »

    Mentre lo chiede, la sua mente è ancora altrove. Torna e ritorna al momento del comando impartito e al tocco di Aelann.

    (... Più che una benedizione, sembra un'investitura. Chissà se c'è differenza.)

    [Eskil 'Starchild']


    La stanza vibra.
    I glifi vanno in allarme.
    Dovevo assolutamente avere una stanza simile, un sancta sanctorum tutto mio, era sicur-- I miei pensieri affascinati dovevano attendere, e per una buona ragione.

    Ibis apriva lentamente gli occhi, mentre la mia attenzione veniva bombardata da tutte le direzioni. Una mano poggiava già sul grimorio agganciato alla cintura, nel caso in cui qualcosa di immondo avesse deciso di dirompere nella stanza.
    I miei occhi erano tuttavia alla ricerca di un segno di familiarità in quelli che Ibis apriva, nella speranza che la minaccia non fosse invece lei. Per qualsivoglia motivo. Avevo visto di cose simili e di cose peggiori.
    C'era qualcosa di strano, in lei, qualcosa di diverso. Diverso e leggermente familiare, Minerva. L'associazione mi fece stringere forte i denti e premere le dita sulla pelle del libro.
    Mi infastivida, mi faceva rabbia. Un'altra associazione della mia amica rivolta a quella specie di omuncolo della magia che era Minerva la metteva solo più in pericolo e, per quanto volessi trovare di nuovo la ragazza, non volevo di certo che Ibis diventasse la mia esca ambulante. No, se l'avessi trovata speravo di farlo quando nessun altro poteva diventare carne da macello per le mie curiosità ed indagini.

    «Tutto okay?» Le chiesi, cercando di ignorare il nuovo filamento di similitudine tra lei e Minerva e dischiudendo le labbra per mostrare i canini in una sorta di sorriso.

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    « Um... »
    si dà un lungo sguardo, per quanto possibile da testa a piedi, e risponde con un sorriso.

    « Beh, stavolta il sangue è rimasto dentro al mio corpo e non ho bisogno di un medevac immediato. È qualcosa! »
    sorride.
    « ... Anche se i presenti sembrano piuttosto agitati. »
    aggiunge, seguendo con gli occhi l'inquietudine degli astanti.

    (E anch'io non sono certissima della cosa di essere davvero a posto... ma 'vago malessere' non vuol dire nulla.)

    [Eskil 'Starchild']

    La sua risposta era promettente, ma continuavo a squadrare tutta la sua figura.
    «Qualcosa è cambiato.»
    Mi lasciai inavvertitamente scappare, un po' tra le labbra ma sicuramente abbastanza alto da farmi sentire.
    Mi voltai verso Raskolnikov ed inclinai leggermente il capo, in attesa di ricevere una sua opinione a riguardo.

    [Narratore]


    Qualcosa è cambiato. Il cuore di Ibis batte come dovrebbe, ma il tessuto cicatriziale lasciato da Aelann ha smesso di essere un mero simbolo di una sentenza rinviata. Ciò che era carne rovinata, ora è un dogma imprescindibile inciso nella trama della magia. Un marchio. Un'investitura. Una benedizione---
    ---una Runa.

    RASKOLNIKOV: «Tutto ciò è...»

    Agita una mano e mormora parole incomprensibili. Gli Incantesimi rimasti si stabilizzano ed i Glifi impazziti ritornano nel loro stato dormiente.
    La sua arte però non cancella il silenzio solenne che ricade ogni volta che qualcuno di voi due non apre bocca.

    RASKOLNIKOV: «...completamente inaspettato.»

    I vostri Archimedes crepitano leggermente. I contatori geiger integrati vi avvertono di una leggera radiazione nella stanza, una rivelazione che il professore e i suoi assistenti reputano di importanza infinitesimale rispetto a quella incisa sul cuore di Ibis. Uno degli Incantesimi, incerto e dubbioso, si attiva e comincia a purificare l'ambiente.

    RASKOLNIKOV: «Qualcosa che avrei reputato impossibile fino ad ora. Eppure...»

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    « ... Eppure? »

    Sulle prime, il totale sconcerto nei presenti è stato accolto con discreta allegria. Per una volta, non si sente come in una scena muta davanti ad un professore mentre è circondata da insigni dottori; anzi, sembrano persino più spiazzati di lei.
    Sono soddisfazioni.

    [Eskil 'Starchild']


    Rimasi in silenzio, alternando lo sguardo tra Ibis e Raskolnikov, in attesa della risposta.

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Poi la rivalsa comincia a lasciar posto al raziocinio, e all'impressione che la loro preoccupazione possa diventare presto anche la sua.
    Inarca le sopracciglia, al crepitìo del rilevatore di radiazioni, e controlla il rapporto dell'Archi in merito.

    Stende il braccio verso l'esterno, cercando di farsi un'idea di qualche possa essere la fonte delle radiazioni.
    (Lo chiederei, ma non sembra una traccia forte... e voglio sapere cosa c'è che li sciocca così, prima.)

    [Narratore]


    La fonte sei tu. E la coppa.
    Il professore ride. E' un'espressione di gioia mista a nervosismo che sfugge alla sua maschera per qualche breve istante.

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Il segnale si allontana da lei. E poi si avvicina di nuovo. E poi diventa un poco più forte quando si avvicina anche alla coppa.

    (... Cosa diamine ho bevuto?)

    [Narratore]


    RASKOLNIKOV: «Eppure la realtà è innegabile quando abbiamo davanti a noi una Runa. E' nata solo ora, mi chiedo, oppure era celata ai nostri occhi?»

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Riporta lo sguardo su Raskolnikov, anche se è ora tesa in ascolto di segni dal proprio corpo.

    [Narratore]


    E quali segni il tuo corpo dovrebbe dare? C'è una cicatrice che attraversa il tuo cuore e scava a fondo, oltre la carne, oltre le leggi fondamentali di questo universo. E' un tale cambiamento nel corretto funzionamento della Realtà che non hai alcun modo di comprenderlo.

    Eskil fatica ---no, Eskil non ha idea di cosa significa il marchio che si è lasciato dietro Heisenhart.
    Lui può vedere la lacerazione nella trama della Magia e il tessuto cicatriziale che coincide con la tua esistenza.

    Tu? Tu sai che hai fatto qualcosa di definitivo.
    Sai di aver infranto i dogmi che regolano il Sistema 39.
    Sei andata a caccia di conoscenza.

    E questa volta stai camminando su una strada che non ammette passi indietro. Si può solo andare avanti. Verso cosa? Forse il tuo destino ultimo. Forse verso un prezzo che andrà pagato. Vittoria. Morte. Chissà.

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Oh, no no no. Niente di così elevato e preternaturale è nelle sue mire, dato che lo scopo del tutto continua a sfuggirle.

    Si limita semplicemente a sentire se tutti gli organi interni sono al loro posto e funzionano come dovrebbero - data una persistente, seppur vaga, certezza di aver fatto qualcosa di grave.
    La Runa deve c'entrare qualcosa.

    « Hm... prima dell'infuso, voi avevate visto soltanto una Cicatrice, no? A quanto mi pare di aver capito, qui è passato giusto qualche istante... ma dopo che ho bevuto, ho avuto un altro incontro con Heisenhart.
    Dunque... »


    Procede quindi a riassumere il tutto. Il luogo differente, gli scambi di battute, i tentativi di comprendere il Paladino, la sua natura come le sue azioni, quel poco che ha potuto scoprire su Minerva, la loro disfida, il rinnovo della sua promessa... l'investitura.

    Qualcosa che evita di menzionare, vuoi per riverenza o vuoi per - più probabile - intuitiva comprensione dell'importanza dei concetti, sono i dettagli della sua piccola esplorazione nella storia di Heisenhart e i due elementi che animano la sua odierna figura.

    [Eskil 'Starchild']


    Restai ad ascoltare.
    Patti, libertà, promesse. Tutti concetti astratti e lontani da me, che mi muovevo in spazi molto più concreti. Il mio obbiettivo, anzi, era concretizzare ciò che non capivo, dargli una forma e - visto l'andazzo - tirarlo giù una volta per tutte.
    Avevo delle domande sulla Runa, ma attesi di scoprire cosa Raskonlikov pensasse della situazione. Dopotutto lui conosceva queste cose teologiche che mi eludevano ancora un po', anche se dopo la conversazione con Joachim avevo cercato di informarmi con ciò che ero riuscito a trovare di più comune conoscenza.


    [Narratore]


    Le parole... le parole sono in grado di trasmettere accuratamente solo la cronologia degli eventi. Il tuo vocabolario è insufficiente, la tua arte oratoria è troppo acerba. E' una fatica disumana condividere con i tuoi compagni anche solo un frammento di ciò che hai provato. Non capiranno mai davvero.
    Eppure Raskolnikov ascolta in religioso silenzio.
    Forse il termine è troppo ironico. Forse invece molto adatto alla situazione.

    RASKOLNIKOV: «La coppa che ti ho offerto, benché colma di straordinarie potenzialità alchemiche, non è in grado di incidere una Runa. Eppure questo è esattamente ciò che è accaduto ---meraviglioso

    L'ultima è pronunciata con enfasi, con mal celata brama. Famelica. Vi manca il talento per decifrare le emozioni di Raskolnikov, al quale il vostro breve rapporto non può certo sopperire. Eppure sembra straordinariamente contento dei risvolti e del racconto. Che sia un credente? Che si senta orgoglioso dell'impossibile che la sua pozione ha reso invece possibile?

    RASKOLNIKOV: «Devo ritirarmi e meditare.»

    Non offre ulteriori commenti, ma nemmeno si muove dal suo posto.
    Anche qui è difficile divinare le sue motivazioni o i suoi pensieri. Pare comunque disponibile, ancora, ad interagire con voi ed i vostri dubbi. Domande chiare e dirette difficilmente verranno ignorate, eppure sembra restio a offrire una spiegazione di sua spontanea volontà.

    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    « Quindi... devo immaginare che sia stata opera sua. »
    commenta, in merito alla coppa.

    In qualche maniera lo immaginava, in ogni caso. Così come il proprio racconto, ora che se lo sente pronunciare e costruire faticosamente parola per parola, le suona come o uno scarno resoconto o una vaga approssimazione nonostante sia non creda di poter fare molto meglio, così è un presentimento che informa la sua ipotesi.
    Il gesto solenne, forse? Quello che ha detto? Quel che aveva detto prima, o magari quel che aveva detto lei?

    « Cosa pensa che significhi, professore? Quel gesto, questa... Runa. »
    si porta una mano sul cuore, sorprendendosi appena di un tepore che non è frutto del proprio corpo.

    Un altro presentimento che sente star venendo giustificato è l'aver tenuto per sé i dettagli più importanti di Heisenhart. C'è una luce inquietante negli occhi di quell'uomo, una che ha la netta impressione di aver visto in qualcun altro solo qualche giorno addietro, e il suo entusiasmo di fronte al tutto fa poco per sopire la sua diffidenza nei confronti di maghi, magia e miracoli assortiti.

    « E perché sembra così affascinato? Ha scoperto qualcosa? »
    (Un intruglio potenzialmente letale più tardi credo di meritarmelo, molte grazie.)


    [Narratore]


    RASKOLNIKOV: «Cosa significa? In circostanze ordinarie -e mi riferisco ad uno standard prima dell'anno zero- ci dovremmo riferire a te come Dame Ibis, o forse come Lady Douglas. E magari chinare il capo come si faceva davanti a Maìrgh, a Carolus, davanti a tutti gli altri apostoli di Heisenhart. I tempi dell'Impero sono però tramontati, la corona ora è solo retta, mai indossata.»

    Heisenhart stesso ha dichiarato di aver abbandonato qualsiasi diritto di guidare l'Umanità, la sua corona splende ancora sul suo capo ma dell'impero ne sono rimasti solo i ricordi e la dignità.

    RASKOLNIKOV: «Perché sono affascinato? Ciò che hai ricevuto è, nel bene o nel male, in qualsiasi sua forma ---favore divino. Davanti ai miei occhi, se posso aggiungere. Con l'aiuto del mio ---ah, Elisir. C'è molto da studiare.»

    Il professore si sfrega le mani e fa cenno ai suoi assistenti di lasciare il laboratorio. Questi obbediscono in fretta, dopo aver messo fine ai loro esperimenti e raccolto le carte sulle quali stavano lavorando. Sono visibilmente nervosi, è palese da come si muovono in preda ad una frenesia folle. E' l'energia dello scienziato davanti ad una nuova scoperta -quella del bambino che scarta un regalo.
    E Raskolnikov non è immune.
    Anche dietro la maschera non può nascondere il desiderio di conoscenza, la sua pura gioia nel vedere il cuore di Ibis inciso una seconda volta. Questa non più solo nella carne, ma nell'anima e nella Magia stessa. Dovrebbe darvi -a entrambi- la portata di quello che è appena successo.

    RASKOLNIKOV: «Ma ciò avverrà da se. E' bene che tutti i presenti esercitino cautela nel prossimo futuro, sia a causa di ciò che abbiamo discusso, sia per questi ultimi sviluppi. Non sono certo su quale sia davvero il significato di ciò che hai tra le mani, ma nella mia limitata esperienza potrei pensarlo come un mandato

    Con cuore d'acciaio.
    Con sangue immobile.
    Vai.
    E.
    Conquista.


    RASKOLNIKOV: «Carta bianca. Un rinnovo, tramite le tue future gesta, del dono della libertà fatto alla razza umana. Al contempo un modo per passare giudizio prima che Zattur legga il tuo nome sul Grande Archivio di Grimm. Un dono -ma anche una prova. Davanti a quale ricompensa, mi chiedo? Ah, ma farnetico.»
    RASKOLNIKOV: «Prego, vi lascio a disposizione il mio umile laboratorio se volete conversare -o riprendervi per qualche momento. Per la vostra incolumità non toccate nulla, quando sarete pronti qualcuno vi riporterà all'esterno.»


    Vi saluta con un inchino. Educato e arcaico. Non di sottomissione, ma un modo estremamente formale ed elegante per dedicarvi un saluto.

    RASKOLNIKOV: «Mastro Eskil, Lady Douglas. Ci rivedremo presto, possa il futuro portarvi fortuna.»

    Il suo tono è ironico.
    Forse.

    Il tuo cuore salta un battito, Ibis. Non dovrebbe. Forse è la stanchezza, forse è il corpo che non si capacita di come quel tessuto cicatriziale sul cuore sia perfettamente funzionante. Eppure--
    ---quando Raskolnikov esce dalla stanza è proprio tale aritmia a impedirti di fermarlo.

    Perché dovresti? E' una bella domanda. Nel vedere il professore che lascia la stanza sei ghermita da un senso di ansia che non ti appartiene. Curiosità e preoccupazione ti spingerebbero a voler conversare più a lungo, certo, ma questo è ben altro. Ti serve quasi come fosse ossigeno, credi sia necessario pronunciare parole che sono da tempo in sospeso.
    Parole che, per tua atroce disperazione, non conosci.

    E poi la sensazione svanisce. Come non fosse mai stata li. Probabilmente un effetto collaterale del Prodotto Alchemico, oppure dell'esperienza mistica che hai appena vissuto. Forse varrebbe la pena seguirlo, ma cosa gli potresti dire? Quale altra stranezza potrebbe anche solo avvicinarsi a ciò che hai già raccontato.
    No.
    Un mistero per un altro giorno.
    Ora hai altro a cui pensare.
    CITAZIONE
    Runa di Ibis Douglas
    Una cicatrice sul cuore tracciata da una Lama Impossibile. Una benedizione pronunciata in ere dimenticate. La Runa di Ibis Douglas non ha nome, non ha identità e attende uno scopo; ha effetti completamente sconosciuti ed indecifrabili.

    Qualche granello di sabbia cade.
    ███████████ attende.

    [Eskil 'Starchild']


    Tutto ciò che era accaduto a Ibis era... Terrificante, ma eccitante.
    Non c'era gelosia nella mia mente - era un sentimento completamente estraneo alla mia persona - anche se forse a differenza di Ibis che non sembrava molto eccitata io mi sarei buttato in questo altro vuoto di testa. Ero contento di essere lì, come testimone di tutta la faccenda e anche come braccio forte, se necessario. La mia indole curiosa non avrebbe lasciato che qualcosa di così grosso ed interessante accadesse lontano dai miei occhi ma, certo, ero lì anche per aiutare Ibis.
    Perché... Perché sì, perché era Ibis. No?

    «Lady, huh.»
    Sorrisi e passai la lingua sui canini, come mi solito quando ero divertito da qualcosa e ne volevo cogliere l'occasione.
    «Spero ti abituerai presto ad essere chiamata così.»


    [Ibis 'Meteor' Douglas]


    Eskil se la ride, il marrano, intanto che lei sprofonda nella sedia.

    « ... »

    Di tutti i presenti - Raskolnikov estatico per aver assistito un miracolo, gli aiutanti rapiti, Eskil che vibra per l'eccitazione - dev'essere l'unica non pronta a fare salti di gioia, inchiostrare grimori traboccanti note arcane, o qualunque cosa faccia un mago su di giri.
    No, lei si sente come se il mondo le fosse appena crollato sulle spalle, e che l'universo si aspettasse lo sorregga con una forza e una maestria degna di ben altri candidati.

    Non riesce nemmeno a fermare il professore, prima che se ne vada.
    Il rumore della porta che si chiude alle sue spalle, e il silenzio che segue, la schiacciano ancora di più.

    (Perché io...?)

    Abbassa il capo, non che il suo sguardo perso nel vuoto stia focalizzando alcunché, e si porta una mano al cuore.
    Il perché, crede di saperlo. Heisenhart è stato, a suo modo, piuttosto chiaro.

    (...)

    Ciò che proprio non riesce a ricongiungere è la fiducia, il - favore, l'ha chiamato - concesso a sé stessa, tra tutti.
    E che favore. È un segno inequivocabile, quello, che va persino oltre il suo corpo - anche a lei che non capisce nulla di magia questo è evidente.
    Favore divino, inciso in una comune mortale.

    (Come...)

    Non ha mai chiesto nulla di tutto questo, né tanto meno sperato o sognato.
    Si era imbarcata in quella disperante avventura per un singolo, semplice - ("semplice", hah) - motivo, mondare il Progetto dalla putredine della guerra. Rimanere invischiata in trame oscure e divinità celesti, ricevere mandati da Paladini... lei, il cui nomignolo è sinonimo di fallimento? Impensabile. Incomprensibile.
    E in ogni caso, quel motivo? Fallito anche quello, visto come stanno le cose. Uno in più sulla pila.

    (Com'è successo...? Cosa ho fatto per meritarmi tutto questo? Cosa ho da offrire, oltre alla mia convinzione?)

    Il professore sembrava saperlo. Una cosetta da niente, abbordabile, giusto il "rinnovo del dono della libertà fatto all'umanità".
    Era serissimo, lui. È lì che si è sentita sprofondare, e già che prima non si sentisse affatto stabile.

    (Sicuro. Certo. Io. Nessuna pressione, gente... giusto la libertà e l'umanità...)

    Tira un profondissimo sospiro.

    « ... Andiamo a casa. Ho bisogno di rivedere le stelle. »

    Lascia correre la punzecchiatura.
    Non ha né le energie, né l'umore, per stare al gioco. Ora come ora, vorrebbe solo stendersi sul letto e lasciare che la quiete del cosmo la prenda con sé.
    Chissà che non porti consiglio.

    Le stelle sanno quanto ne abbia bisogno.
     
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